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La scomunica nella Chiesa cattolica
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La scomunica nella Chiesa cattolica

 
La maggior parte dei cattolici sa che la scomunica ha svolto un ruolo importante nella vita ecclesiastica fin dai tempi antichi. Molti pensano anche che questa procedura controversa sia stata relegata nei libri di storia dopo il Concilio Vaticano II. Ma questa supposizione è sbagliata.  
 
La scomunica rimane una parte importante del diritto canonico. Anzi, ci sono segnali che indicano che nei prossimi anni avrà un ruolo più importante nella vita della Chiesa di quanto siamo abituati a vedere.  
 
Per capire il perché, analizziamo tre questioni chiave che vengono spesso sollevate in merito alla scomunica.  
 
  • La scomunica è la sanzione più severa che la Chiesa può applicare o è un rimedio medicinale destinato a provocare il pentimento personale e la conversione?
  • La scomunica viene comminata in risposta ad alcune gravi violazioni del diritto canonico, oppure è una conseguenza dei peccati mortali determinati dalla teologia morale?
  • Esiste un elenco generale di azioni per le quali si può essere scomunicati o ogni vescovo o sacerdote può formularne uno proprio?
 
 
Le risposte a queste tre domande possono aiutarci a capire meglio cosa significa scomunica oggi e cosa potrebbe significare domani. Vediamo come.  
 
Un rimedio medicinale  
 
Certo, la prima domanda è una sorta di trabocchetto. La risposta alla domanda se la scomunica sia la pena più severa che la Chiesa abbia, o se sia una risposta medicinale destinata al pentimento personale, è che la scomunica è entrambe le cose. Ma poiché questo doppio carattere della scomunica è proprio ciò che molti fraintendono, parliamone meglio.  
 
Da un lato, chi viene scomunicato ha rotto i legami di comunione che dovrebbero legare ogni credente alla comunità dei fedeli. La scomunica blocca il diritto di una persona a ricevere i sacramenti e i sacramentali, e le proibisce di esercitare ruoli di leadership nella Chiesa.  
 
Nonostante la spavalderia con cui alcuni scomunicati esprimono il loro disprezzo per la pena, non c’è nulla di piacevole in questo tipo di conseguenze, e gli scomunicati lo sanno. Lo sa anche la storia.  
 
Allo stesso tempo, però, la Chiesa cattolica chiarisce che la scomunica viene comminata con l’obiettivo esplicito di motivare la persona a cessare il comportamento che ha portato alla scomunica stessa.  
 
In altre parole, la Chiesa è tanto restia a imporre la scomunica quanto desiderosa di revocarla. Infatti, una volta che una persona scomunicata ha un cambiamento di cuore (noto canonicamente come “ritiro dalla contumacia”), ha il diritto a una pronta riconciliazione con la Chiesa e a una rapida riammissione nella sua vita sacramentale.  
 
E perché no? La scomunica ha raggiunto il suo scopo: ha riportato all’ovile una pecora errante. Se qualcuno rimane in stato di scomunica per molto tempo, si può essere certi che è perché lui o lei, purtroppo, vuole così, e non perché i funzionari della Chiesa sono vendicativi.  
 
Violazione della legge o immoralità?  
 
La questione se la scomunica debba essere vista come una sanzione per la violazione del diritto canonico o come una conseguenza di un comportamento immorale non è complicata, è decisamente difficile. Questo perché la scomunica opera proprio nel punto in cui la legge e la morale entrano in contatto più stretto.  
 
È un principio consolidato che non tutte le azioni immorali possano o debbano essere considerate un crimine. Pertanto (nonostante alcuni casi strani che potremmo trovare nelle pagine ingiallite della storia della Chiesa), oggi la scomunica viene comminata solo per azioni che, in primo luogo, sono gravemente peccaminose in sé e, in secondo luogo, non possono essere affrontate adeguatamente in altro modo.  
 
Prima di imporre la pena canonica della scomunica, deve essere chiaro che una persona ha offeso un importante valore morale e dottrinale. Questo spiega perché oggi si sente parlare di scomunica solo in relazione a grandi questioni pubbliche come, ad esempio, l’eresia, l’aborto o la falsificazione dei sacramenti.  
 
Tuttavia, oltre al requisito che l’azione in sé deve essere gravemente sbagliata perché la scomunica sia possibile, l’offesa deve anche essere una di quelle per cui la Chiesa non vede altra risposta adeguata se non una sanzione canonica.  
 
Così, anche se, ad esempio, l’appropriazione indebita di beni della Chiesa o l’adulterio sono gravi colpe (e devono essere prontamente portate alla confessione sacramentale), la Chiesa ha altri modi di rispondere pubblicamente a queste colpe.  
 
Ad esempio, può ricorrere alle autorità civili per i casi di appropriazione indebita o ribadire l’insegnamento della Chiesa sulla morale matrimoniale e sull’adulterio. Non ricorre prima alla pena della scomunica quando si trova di fronte a questo tipo di gravi torti. Questo è un buon senso.  
 
Sfortunatamente, però, alcune persone sottolineano la mancanza di scomuniche per, ad esempio, diatribe antipapali o persino abusi sessuali del clero sui bambini e concludono che la Chiesa non prende sul serio tali offese. Questa accusa è ingiusta.  
 
Se la Chiesa ritiene che la risposta più efficace a questi torti sia la scomunica, prenderà le misure necessarie per imporla. Ma se sembra che ci sia un altro modo di affrontarli, lo proverà prima.  
 
L’esperienza, come sempre, è una buona guida in questo caso, e certamente l’elenco delle offese scomunicabili è cambiato nel tempo. Quindi l’elenco potrebbe cambiare ancora, ma poiché questo punto ci porta davvero all’ultima domanda, passiamo ora ad essa.  
 
Un elenco generale?  
 
Per il primo decennio dopo l’entrata in vigore dell’attuale Codice di diritto canonico, la risposta alla nostra ultima domanda era piuttosto chiara: tutte le scomuniche potevano essere elencate nel Codice di diritto canonico. Si trattava, inoltre, di un elenco piuttosto breve.  
 
Ma a partire dagli anni ’90, alcuni vescovi diocesani cominciarono a ricorrere alla scomunica come uno dei modi, tra gli altri, per rispondere a quelli che consideravano gravi affronti alla Fede nelle loro diocesi.  
 
Papa Giovanni Paolo II emanò una scomunica speciale al di fuori del Codice di Diritto Canonico contro coloro che avrebbero violato la segretezza di un conclave papale.  
 
E negli ultimi anni, la Congregazione per la Dottrina della Fede ha usato la sua autorità per applicare legittimamente una scomunica in alcuni casi di tentativi di “ordinazioni” femminili, anche se questa pena per il conferimento simulato degli ordini sacri non è espressamente contenuta nel Codice del 1983.  
 
Possiamo notare, naturalmente, che queste scomuniche più recenti sono state attuate solo da coloro che si trovano ai livelli più alti della leadership della Chiesa diocesana o universale. Quindi, se sentiamo di un parroco che minaccia o impone scomuniche di propria autorità, qualcosa da qualche parte non va.  
 
Inoltre, anche se questi esempi sembrano pochi, sono sufficienti per indicare che la scomunica è un’istituzione in evoluzione che può essere e sarà utilizzata in risposta a minacce più gravi contro gli insegnamenti, la vita e la missione della Chiesa.  
 
Le distinzioni evidenziate nella risposta a queste tre domande dovrebbero contribuire a minimizzare l’attuale confusione sulla scomunica.  
 
Edward Peters  
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Il dottor Edward Peters insegna diritto canonico al Seminario Maggiore del Sacro Cuore di Detroit. È autore di “La scomunica e la Chiesa cattolica” (Ascension Press, 2006). È possibile accedere al sito web e al blog di diritto canonico del Dr. Peters all’indirizzo www.canonlaw.info.  
 
Fonte originale  
Fonte traduzione, Sabino Paciolla  
 
2024-07-06
Autore : Edward Peters Fonte : Simply Catholic
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