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Bultmann e la demitizzazione, una posizione ideologica
La critica alla possibilità del miracolo che si è sollevata negli ultimi tre secoli nel mondo filosofico (qui e qui) risponde sostanzialmente ad un'esigenza: rendere la religione cristiana accettabile secondo i canoni del pensiero moderno.
Ed essendo la religione cristiana fondata su fatti storici ben precisi, questa operazione filosofica ha di fatto significato una sola cosa: tagliare la realtà a misura di un a priori ideologico.
Operazione che è riuscita particolarmente bene in ambito teologico, ad opera di un famoso esegeta dell'Università di Marburgo: Rudolf Bultmann (1884-1976).
Il libro forse più conosciuto e che maggiormente ha segnato il pensiero teologico del Novecento è stato Neues Testament und Mythologie (Nuovo testamento e mitologia, 1941), che costituisce il manuale e il manifesto della demitizzazione.
Particolarmente attratto dall'esistenzialismo di Martin Heidegger, suo collega a Marburgo, Bultmann si è proposto di liberare gli scritti del Nuovo Testamento da sovrastrutture mitiche e metafisiche, frutto di una precisa concezione del mondo che è stata definitivamente messa in crisi dalla visione scientifica.
«Non ci si può servire della luce elettrica e della radio, o far ricorso in caso di malattia ai moderni ritrovati medici e clinici, e nello stesso tempo credere al mondo degli spiriti e dei miracoli propostoci dal Nuovo Testamento».
Si tratta forse del brano più noto e più radicale della sua opera, che in effetti ha il pregio di esprimere con chiarezza la tesi di fondo dell'esegeta tedesco.
Gli autori del Nuovo Testamento comunicano un nucleo religioso di rilevanza esistenziale all'interno di una cosmovisione, secondo la quale la terra risulterebbe essere teatro di forze sovrannaturali (Dio) o preternaturali (gli angeli buoni e i demoni), che agiscono sulle cose, sugli eventi, sulle persone, impedendo così agli uomini di essere padroni di sé stessi.
È questa visione mitico-metafisica a risultare incompatibile con quella scientifica e ad essere da questa ormai definitivamente superata.
Dunque, che fare per rendere ancora possibile la lettura di questi testi del I-II secolo, in un tempo – il nostro – nel quale pensare ad angeli, inferi e miracoli sarebbe semplicemente anacronistico? La soluzione è condensata da Bultmann in una parola: demitizzare. Ossia scoprire il significato profondo, nascosto al di sotto di queste rappresentazioni mitico-metafisiche; spogliare i testi di questi rivestimenti propri di una cultura pre-scientifica.
La demitizzazione costituirebbe pertanto l'unica strada percorribile per non esigere dal credente la totale abdicazione alla propria ragione, e per portare in luce il kerygma, il messaggio esistenziale profondo, la comprensione del senso della vita dell'uomo predicato e vissuto da Gesù Cristo.
A cadere sotto la mannaia “liberante” della demitizzazione è l'integrità del testo biblico: il racconto della creazione, del peccato originale, fino alla risurrezione di Cristo, ridotta al rivestimento “storico” della forza dell'uomo, dinanzi a Dio, di saper trasformare il proprio dolore in un'esperienza di rinascita. E, ovviamente, non potevano scampare i miracoli.
Bultmann avanza una distinzione tra miracolo (Mirakel) e fatto meraviglioso (Wunder); mentre il primo appartiene alla categoria del mito, in quanto rivendica un intervento soprannaturale nella storia, una portata oggettiva del prodigio, il secondo esprime una caratteristica esistenziale: l'intensità del rapporto con Dio porta il fedele a riconoscerne l'azione in ogni evento, che suscita in lui stupore e meraviglia, nonostante si tratti di fatti perfettamente conformi alle immutabili leggi naturali.
Lo spostamento radicale sul piano soggettivo del miracolo ha chiaramente fagocitato quello oggettivo: esso non esiste – e non può esistere – come fatto prodigioso; pretendere questa oggettività significa rituffarsi nuovamente nella concezione antiscientifica del mondo.
Ciò che è “reale”, ciò che può essere ammesso anche nell'età della scienza, è invece il suo significato per la persona, che saluta in un dato evento le meraviglie divine. Il senso del miracolo biblico è dunque esclusivamente quello di essere un segno esistenzialmente significativo per chi lo vive.
Non si tratta evidentemente di compiere l'eccesso opposto, ossia di rovesciare l'asse sul piano esclusivamente oggettivo, perché è certamente vero che i miracoli sono segni che puntano a suscitare la fede e a toccare il cuore dell'uomo.
Ma è piuttosto evidente che la posizione di Bultmann è ideologica e, in un certo senso, tautologica: l'unica prospettiva vera è quella scientifica; dunque, il miracolo come fatto oggettivo non può esistere perché inaccettabile da un punto di vista scientifico.
Ne consegue che tutto quello che nei Vangeli risulterebbe incompatibile con questa presunta visione scientifica del mondo dev'essere ritenuto espressione della concezione mitico-metafisica, e dunque demitizzato: non fatti storici, ma segni dal significato puramente esistenziale.
C'è un “dettaglio” che Bultmann decide di non considerare, perché non compatibile con la sua precomprensione: i quattro Vangeli non hanno mai rivendicato un mero significato esistenziale dei loro racconti, né si sono mai presentati come meri saggi con esortazioni spirituali e morali, ma hanno sempre preteso di narrare fatti storici e di raccontarli con precisione «perché anche voi crediate» (Gv 19, 35).
I due cardini dell'annuncio cristiano – l'Incarnazione e la Risurrezione – sono presentati come fatti storici, frutti di «ricerche accurate su ogni circostanza» (Lc 1, 3), ricchi di dettagli storicamente rilevanti, e non come meri racconti edificanti.
Una eventuale critica può e deve collocarsi sul piano storico-letterario, dunque sulla credibilità di questi testi, ma è disonesto liquidarli a priori quali espressione di un mondo antiscientifico, equiparandoli, come fa Bultmann, alle guarigioni attribuite ad Esculapio in quel di Epidauro.
È piuttosto evidente che la demitizzazione è da un lato il frutto di una riduzione tecno-scientifica della realtà e dall'altro contributo decisivo per scavare più profondamente il solco che divide il Gesù della storia dal Cristo della fede, rendendo il primo sostanzialmente inaccessibile.
La posizione di Bultmann è penetrata profondamente nel mondo della teologia, anche cattolica, dove si parla a stento di miracoli e quasi con imbarazzo.
A noi interessa capire quanto di queste impostazioni filosofiche e teologiche “anti-miracolo” possa avere influenzato le recenti Norme per procedere nel discernimento di presunti fenomeni soprannaturali del Dicastero per la Dottrina della Fede.
Fonte
2024-07-07
Autore : Luisella Scrosati
Fonte : La Nuova Bussola Quotidiana