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La dottrina sulla processione dello Spirito Santo, che divide cattolici e ortodossi.
Icona della Santissima Trinità - Andrej Rublëv
Il Concilio di Ferrara-Firenze e la riconciliazione con i Greci
Il Grande Scisma d'Occidente era stato risolto in modo a dir poco rocambolesco dal Concilio di Costanza, ma l'assise convocata a Basilea si dimostrò terreno fecondo per una nuova divisione.
Si è visto come papa Eugenio IV (1383-1447) abbia cercato una via d'uscita dalla piega scismatica che molti padri riuniti a Basilea avevano preso, con l'indizione di un nuovo concilio, che si riunì dapprima a Ferrara (1438-1439) e poi a Firenze (1439-1442), dedicato primariamente alla riconciliazione con i Greci, ossia i cristiani delle chiese orientali.
La riconciliazione con i Greci significava fondamentalmente (ma non esclusivamente) affrontare la questione del Filioque. Si tratta dell'introduzione nel testo del simbolo della fede dell'affermazione della processione dello Spirito Santo non solo dal Padre ma anche dal Figlio. Questione molto complessa, che ha richiesto sottili ma importanti distinzioni.
Il Simbolo costantinopolitano del 381 conosceva infatti la versione qui ex Patre procedit (nella versione greca, τὸ ἐκ τοῦ Πατρὸς ἐκπορευόμενον) senza l'aggiunta della processione dal Figlio. Tuttavia, occorre tener presente che nella “metà occidentale” della Chiesa, già dal V secolo, vi erano in realtà dei simboli che contenevano anche l'esplicitazione relativa al Figlio, che si radicherà maggiormente nel periodo carolingio, per finire con l'essere inserita nel Credo da papa Benedetto VIII (980-1024) nel 1014.
La disputa relativa al Filioque ci terrà impegnati per qualche domenica, perché comprendere quanto avvenuto storicamente, la dottrina sottesa e la reazione greca può divenire di grande utilità anche per affrontare la crisi attuale. Ma occorre andare con calma e prestare molta attenzione a come sono andate le cose.
Iniziamo mettendo alcuni punti fermi, che diventeranno fondamentali per la comprensione del problema.
Si è anticipato che il Simbolo, frutto del primo Concilio di Costantinopoli, non riportava il Filioque. Tuttavia, nelle chiese latine, erano diffusi dei simboli della fede che invece affermavano la processione anche dal Figlio.
Anzitutto, il cosiddetto Fides Damasi, che risale all'anno 500 circa, e che riporta l'espressione sed de Patre et Filio procedentem, affermatosi soprattutto nei territori della Spagna.
Il simbolo Quicumque vult, detto anche “atanasiano”, godeva di un'autorità ancora maggiore, perché se ne attribuiva la paternità al grande sant'Atanasio, particolarmente venerato in Occidente come il campione della fede.
Questo simbolo, che la critica fa invece risalire al V secolo, include l'espressione a Patre et Filio, affermando così la processione dello Spirito Santo da entrambi.
Riguardo all'uso liturgico, il Filioque si diffuse principalmente all'interno del rito spagnolo mozarabico e dalla Spagna si diffuse nella Gallia Narbonese e poi in tutta la Gallia. La presenza del Filioque nei simboli nella Chiesa latina trova i suoi fondamenti nell'articolazione del pensiero di diversi Padri della Chiesa occidentale, tra cui sant'Agostino e sant'Ambrogio.
Questo breve inquadramento storico è di particolare importanza perché rivela due aspetti di rilievo: il primo riguarda il fatto che, per secoli, Oriente e Occidente hanno convissuto senza particolari problemi relativi al Filioque, accettando reciprocamente i diversi usi; il mondo greco, inoltre, venerava – e venera – come santi anche quei Padri che sostenevano la processione dello Spirito Santo anche dal Figlio.
Il secondo aspetto riguarda la posizione della Chiesa di Roma. Il lettore avrà infatti notato che tra le Chiese che adottarono il Filioque non risulta quella romana, almeno fino alla svolta del Millennio.
È fondamentale dedicare qualche riga alla posizione di papa Leone III (750-816), la cui santità è riconosciuta sia dalla Chiesa cattolica che da quella ortodossa. San Leone III aveva esplicitamente difeso l'ortodossia della processione dello Spirito Santo sia dal Padre che dal Figlio, ma nello stesso tempo si era rifiutato di introdurre il Filioque nel Credo per la liturgia della Chiesa di Roma, nonostante le pressioni di Carlo Magno.
Si era venuta così a creare la singolare situazione che tutte le Chiese d'Occidente, a partire dal Sinodo di Aquisgrana (809), cantavano il Credo con il Filioque nella liturgia, tranne la Chiesa di Roma. Inoltre, il papa proibì ai monaci latini insediatisi a Gerusalemme di conservare là il canto del Credo con il Filioque, uso che stava generando non pochi problemi “relazionali”. Atteggiamento di grande prudenza e sensibilità, che manifesta la consapevolezza di come la Chiesa greca non avrebbe accettato serenamente l'eventuale aggiunta del Filioque ad un simbolo che era stato deciso da un concilio ecumenico.
L'avvento di Fozio (ca 810-897) come patriarca di Costantinopoli costituisce un evento che ha acuito le difficoltà tra i due “emisferi della fede”. Nel suo La mistagogia del Santo Spirito, Fozio lanciava una decisa accusa alla Chiesa d'Occidente: secondo lui, la processione dello Spirito Santo anche dal Figlio assesterebbe un colpo mortale alla dottrina trinitaria, perché non permetterebbe più di distinguere il Padre dal Figlio.
La critica di Fozio era tutt'altro che banale: se lo Spirito Santo procedesse da entrambi, il Padre non sarebbe più l'unica causa eterna della divinità delle altre due Persone, che è invece un caposaldo della retta fede trinitaria, ma condividerebbe questa sua proprietà specifica con il Figlio e in questo modo non si distinguerebbe più da lui; inoltre, lo Spirito Santo risulterebbe subordinato al Padre e al Figlio.
Di fronte all'argomentazione di Fozio, i teologi carolingi iniziarono a barcollare, non riuscendo a fornire argomenti solidi; occorrerà attendere la scolastica più matura, in particolare san Tommaso d'Aquino nel suo Contra errores Græcorum, e gli ulteriori sviluppi, che vedremo emergere proprio nel Concilio di Firenze.
Questa maggiore profondità nell'articolazione della dottrina riguardante la processione dello Spirito Santo permetterà ad alcuni Greci di comprendere la bontà della dottrina relativa al Filioque e la sua possibile armonizzazione con la dottrina dei Padri greci.
Purtroppo però, come spesso accade, la disputa teologica non aveva più interessi squisitamente dottrinali, ma venne piegata a giustificare posizioni ormai già decise e consolidate sulla base di ragioni di altra natura, che avevano ormai alimentato un'ostilità montante.
Che ormai una buona parte dei Greci non volesse più l'unione con la Chiesa latina, e dunque con il Papa, fu abbastanza chiaro già al Concilio di Lione (1245), primo sinodo nel quale si tentò una riunione tra Latini e Greci.
Significativa fu la vicenda legata a Giovanni XI Bekkos (ca 1225-1297). Bekkos, che era dapprima convinto dell’eresia latina, poté in seguito leggere le spiegazioni più mature della Chiesa latina relative al Filioque e approfondì il pensiero di alcuni Padri greci; si rese così conto che la posizione latina non era affatto eterodossa, ma conteneva solide ragioni e spiegava meglio alcuni testi patristici.
Questa sua posizione gli costò le pene dell'Inferno. Ebbe la sfortuna di vivere e divenire patriarca di Costantinopoli al tempo dell'imperatore Michele VIII Paleologo, il quale pensava di riunificare Oriente e Occidente a suon di minacce e costrizioni.
Dall'altro canto, la maggioranza dei Greci non voleva sentire ragioni di accordi e riunificazioni. Morto l'imperatore, Bekkos, ritenuto a torto la sua mano teologica, venne fatto oggetto di minacce di ogni genere, arrestato e imprigionato in un monastero; cedette così alle minacce, accettando di firmare una rinuncia delle sue posizioni favorevoli alla riunificazione. Posizione che poi abiurò, mantenendo la sua posizione unionista fino alla morte.
Fonte "Il Concilio di Ferrara-Firenze e la riconciliazione con i Greci"
L’argomentazione cattolica sul Filioque
La presentazione di domenica scorsa ci ha permesso di prendere contatto con gli aspetti principali della contesa sul Filioque. Il secondo tassello da aggiungere riguarda l'argomentazione cattolica della processione dello Spirito Santo anche dal Figlio. Argomentazione che è andata precisandosi con il tempo e che ha raggiunto la sua maturità in epoca scolastica.
Per capire l'importanza di alcuni dettagli di tale argomentazione, occorre tener presente il contesto piuttosto turbolento, esploso particolarmente a partire dal IX secolo.
Secondo la prospettiva greca, da Fozio (ca 810-897) a Michele Cerulario (1000-1059), da Gregorio Ciprio (1241-1290) a Marco di Efeso (1392-1444), questi ultimi protagonisti della resistenza all'unificazione con la Chiesa cattolica rispettivamente durante i Concili di Lione e di Firenze-Ferrara, quella del Filioque si configurerebbe come una dottrina a tutti gli effetti eretica, che avrebbe posto i Latini in situazione di scisma.
Il patriarca Fozio l'aveva definita persino «la somma di tutti gli errori teologici» e in generale quanto, ai “complimenti”, non si badò a spese: blasfemia, macchinazione del demonio, dottrina aliena, era il minimo che venisse attribuito alla posizione dei Latini. Quali erano le ragioni teologiche (ve ne erano anche di politiche, ma non ce ne occuperemo) che avevano così tanto esasperato gli animi dei Greci?
I Latini, dal loro punto di vista, avevano innovato, modificando il Credo di un Concilio ecumenico con un'aggiunta che appariva inconciliabile con la retta dottrina. Le accuse sostanziali sono sempre state più o meno quelle messe in luce da La mistagogia del Santo Spirito di Fozio:
1. se il Padre e il Figlio fossero entrambi principio della spirazione dello Spirito Santo, allora nella Santissima Trinità esisterebbe una diarchia che confligge direttamente con l'affermazione che solo il Padre è la causa della divinità;
2. in questa diarchia, il Padre e il Figlio si confonderebbero l'uno con l'altro, appunto perché il Padre non si distinguerebbe più come l'unica causa della divinità;
3. ciò che è condiviso da due Persone trinitarie, a motivo della divinità, deve essere condivisa anche dalla terza. Se dunque il Padre e il Figlio condividessero la spirazione, anche lo Spirito Santo dovrebbe spirare una “quarta persona” oppure Sé stesso. Il che sarebbe chiaramente un'assurdità.
La posizione dei Greci, che è in sostanza quella che permane nel mondo ortodosso, è che il Figlio non possa avere un'azione propriamente causativa nella processione dello Spirito Santo.
La linea “pura” foziana esclude qualsiasi coinvolgimento del Figlio, mentre invece una seconda corrente, posta di fronte all'evidenza della presenza anche della processione dal Figlio in diversi testi patristici, sostiene invece una eterna manifestazione dello Spirito mediante il Figlio, una sorta di “Filioque energetico”, che in ogni caso esclude che l'ipostasi dello Spirito Santo proceda anche dal Figlio come causa.
La posizione cattolica, invece, sostiene proprio che la terza Persona della Santissima Trinità proceda, e dunque sia eternamente causata come ipostasi, sia dal Padre che dal Figlio.
Ora, questa affermazione non abroga affatto la peculiarità del Padre, in quanto il Figlio rimane pur sempre Colui che tutto riceve dal Padre, incluso il potere di spirazione: il Figlio non ha da sé questo potere, ma lo riceve dal Padre.
Il fatto che da entrambi proceda lo Spirito non annulla dunque che il Padre sia il punto fontale, il principio primo, proprio perché anche il potere di spirazione viene dato al Figlio da Lui; nessuna confusione o sovrapposizione, dunque, tra il Padre e il Figlio, perché il primo continua ad essere principio senza principio, mentre il secondo, ricevendo il potere di spirazione, è principio da principio.
Nella spirazione divengono un unico principio non per confusione delle persone, in quanto permangono due Persone distinte, ma per il compimento di un unico atto.
In questo senso, per i cattolici l'espressione per cui lo Spirito procede dal Padre, senza menzione del Figlio, non costituisce alcun problema, nella misura in cui con essa si intende significare la verità del Padre come prima origine: questo fu infatti l'intento della formula ex Patre voluta dai Padri del Concilio di Costantinopoli (381).
Il problema nasce però se si intende, con tale espressione, escludere il Filioque in quanto eretico. E così la si intese a partire da Fozio. La sua introduzione, oltre ad una ragione storica in funzione anti-ariana, si fonda su un argomento di grande importanza, che in qualche modo rispedisce a Fozio l'accusa di confusione delle persone della SS. Trinità.
Se, infatti, lo Spirito procedesse esclusivamente dal Padre, in che cosa si distinguerebbero il Figlio e lo Spirito? Cerchiamo di spiegare meglio: nella Trinità, tutto ciò che appartiene alla divinità è comune alle tre persone, senza distinzione: eternità, onnipotenza, onniscienza, etc., si predicano di ciascuna delle tre Persone in quanto vi è un solo Dio.
Dunque, sotto questo aspetto, non c'è alcuna differenza nelle tre Persone. Da dove nasce invece la distinzione, per cui possiamo affermare con verità che il Padre non è il Figlio, il Figlio non è lo Spirito e lo Spirito non è né l'uno né l'altro? Dalla loro “opposizione” nella relazione: il Padre e il Figlio si distinguono perché il Padre genera il Figlio, mentre il Figlio è generato dal Padre; così il Padre e lo Spirito Santo si distinguono perché il Padre spira lo Spirito, mentre lo Spirito procede dal Padre.
Ma che dire della distinzione tra il Figlio e lo Spirito? Se entrambi vengono “generati” dal Padre, che distinzione c'è tra loro? Ossia, qual è l'opposizione relazionale che permette di distinguerli l'uno dall'altro? In effetti, questa è una seria vulnerabilità della posizione del solo a Patre, inteso in senso esclusivo.
Da essa se ne esce risolutivamente solo affermando che tra il Figlio e lo Spirito c'è opposizione – e dunque distinzione di persone –, proprio perché lo Spirito procede dal Figlio. Dunque, Padre e Figlio si distinguono come il generante e il generato; il Padre e lo Spirito come lo spirante e lo spirato, il Figlio e lo Spirito in quanto dal primo procede il secondo e il secondo procede dal primo.
Quanto affermato potrebbe sembrare una speculazione di pura logica – accusa che non di rado viene sollevata contro la teologia “latina” dagli orientali –, ma in realtà si tratta di una dottrina che si radica profondamente nella Rivelazione, come avremo modo di vedere la prossima volta.
Nonostante la comprensibile difficoltà di queste problematiche, è di particolare importanza rendersi conto di come, nella disputa sul Filioque, emerga in modo già piuttosto evidente che le questioni teologiche richiedono estrema attenzione e non possono né devono essere impugnate come strumenti di lotta e di propaganda. Ma anche su questo, avremo modo di tornare.
Fonte "L’argomentazione cattolica sul Filioque"
Il Filioque nelle Sacre Scritture
«Quando verrà il Consolatore che io vi manderò dal Padre, lo Spirito di verità che procede dal Padre egli mi renderà testimonianza» (Gv 15, 26).
In generale, gli ortodossi, basandosi su questo passo evangelico, rivendicano la loro cristallina fedeltà al Vangelo nel professare la processione dello Spirito Santo dal solo Padre.
Anche il Simbolo di Costantinopoli (381) era rimasto fedele al dettato evangelico, affermando l'“uscita” (dal verbo greco ekporeuo) dello Spirito Santo dal Padre, senza alcun riferimento al Figlio.
La posizione ortodossa rivendica dunque questa duplice fedeltà alle Sacre Scritture e al Concilio ecumenico, laddove invece i cattolici avrebbero “innovato”, aggiungendo la processione dello Spirito anche dal Figlio, che non troverebbe conferma né nelle prime né nel secondo.
È collocandosi in questa prospettiva che si può comprendere come la posizione filoquista appaia agli occhi degli ortodossi una grave deviazione dalla retta fede e una rottura con la tradizione.
Tuttavia, la posizione ortodossa non è così lineare e così tradizionale come potrebbe sembrare a prima vista. Iniziamo con un semplice rilievo: la pericope evangelica appena citata appartiene al contesto più ampio dei capitoli 14-16 del quarto Vangelo, nei quali il Signore Gesù prepara i suoi discepoli alla sua morte ormai prossima e alla sua successiva ascensione al cielo, che avrebbe comportato il venir meno della sua presenza sensibile.
In questo contesto, a più riprese, il Signore parla dello Spirito che egli avrebbe inviato, con espressioni che, nella disputa sul Filioque, i Latini hanno a loro volta opposto alla posizione del “solo Padre”:
«il Consolatore, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, egli v'insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto» (Gv 14, 26); lo Spirito Santo «mi glorificherà, perché prenderà del mio e ve l'annunzierà. Tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo ho detto che prenderà del mio e ve l'annunzierà» (16, 14-15).
Anche il passo citato in apertura, è preceduto da questa affermazione: «Quando verrà il Consolatore che io vi manderò dal Padre...».
Come si può vedere, tutti questi versetti si collocano all'interno dello stesso contesto: l'invio dello Spirito da parte di Gesù Cristo, detto anche “invio economico”, perché non riguarda la Trinità immanente, ossia la vita e le relazioni interne alla SS. Trinità, ma la Trinità economica, ossia le sue operazioni ad extra.
Questa osservazione è di estrema importanza e solleva uno dei problemi di fondo della disputa sul Filioque, ossia la corrispondenza tra Trinità immanente e Trinità economica: le operazioni trinitarie esterne riflettono l'immanenza della vita trinitaria?
La posizione cattolica afferma che la Trinità immanente è la stessa che si manifesta nelle sue operazioni ad extra; pertanto la missione temporale, dunque l'invio del Figlio e dello Spirito Santo nel mondo, riflettono le relazioni interne della Trinità.
Se dunque, come risulta dai capitoli giovannei richiamati, non solo il Padre, ma anche il Figlio incarnato manda lo Spirito nel mondo, ciò riflette un “invio” interno alla vita trinitaria sia da parte del Padre che da parte del Figlio.
Non v'è dubbio che questi passi giovannei riguardino l'invio temporale dello Spirito, ma se, come diciamo noi cattolici, tra Trinità immanente e Trinità economica c'è corrispondenza, allora questi passi corroborano la tesi della processione dello Spirito dal Figlio; se invece non c'è questa corrispondenza, come sostengono gli ortodossi, allora non è nemmeno possibile invocare Gv 15, 26 a sostegno della processione dello Spirito dal solo Padre, in quanto anche questo testo è inserito nell'invio economico dello Spirito.
Questa corrispondenza non è un'invenzione dei Latini. Se si pone attenzione ai testi che sottolineano la relazione tra Gesù e il Padre, si troverà sempre che è il Padre ad aver inviato il Figlio nel mondo, e non il contrario; che è il Figlio ad aver ricevuto tutto dal Padre e non viceversa, rispettando così la cosiddetta taxis (ordine) trinitaria.
Si attesta così la corrispondenza tra la relazione Padre-Figlio intratrinitaria, dove è il Figlio ad essere generato eternamente dal Padre, e quella economica.
Nella prospettiva degli ortodossi questo parallelo armonico si spezza nella relazione dello Spirito con il Figlio, dal momento che Gesù manderebbe lo Spirito solo nella dimensione ad extra, e lo Spirito prenderebbe ciò che è del Figlio solo nella sua missione nel mondo, senza alcuna relazione con le relazioni delle Persone trinitarie.
Questa rottura è singolare: mentre i Padri della Chiesa sono partiti dai testi che si riferiscono alla missione temporale del Figlio per inferire le relazioni trinitarie ad intra, questa inferenza non sarebbe più legittima per la processione dello Spirito Santo dal Figlio (in un prossimo articolo vedremo come i Padri latini abbiano invece confermato questa inferenza anche per lo Spirito).
Se si rileggono con attenzione i passi giovannei riportati, ci si può rendere conto che ve n'è uno che difficilmente può essere interpretato fermandosi alla Trinità economica; lo riprendiamo: «Tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo ho detto che [lo Spirito] prenderà del mio e ve l'annunzierà» (16, 14-15).
Circa le sue relazioni con il Padre, Gesù ha spiegato agli apostoli di aver fatto conoscere loro «tutto ciò che ho udito dal Padre» (Gv 15, 15); questa espressione esprime non solo la relazione della sua umanità con il Padre, ma anche, per inferenza, la relazione della sua Persona divina con il Padre, perché il Figlio riceve eternamente tutto dal Padre (tranne il suo essere Padre).
In questo caso, se pure si volesse negare tale inferenza (cosa che fecero gli ariani, ma non certo cattolici e ortodossi), ci potrebbe essere comunque l'“alibi” dell'umanità di Cristo: Gesù avrebbe udito tutto dal Padre in quanto è uomo; pertanto questo testo potrebbe non dire nulla sulla vita intratrinitaria.
Ma nel caso dello Spirito Santo, cosa pensare del fatto che Egli debba prendere dal Figlio tutto ciò che questi ha ricevuto dal Padre? Che Egli debba udire dal Figlio per “ricordarlo” ai discepoli? Nello Spirito Santo, infatti, c'è una sola natura, quella divina: se dunque questa Persona deve ricevere dal Figlio, ciò significa che si tratta di una ricezione eterna non di qualche verità – perché lo Spirito Santo è Dio e Dio è onnisciente – ma della stessa propria Persona.
Quel passo di Giovanni indica quindi che lo Spirito Santo riceve l'onniscienza, e dunque la divinità, di cui l'onniscienza è attributo, anche dal Figlio; prende tutto dal Figlio, oltre che dal Padre, perché procede dall'uno e dall'altro.
In realtà, che il testo di Gv 15, 26 intenda affermare la processione dello Spirito dal solo Padre, i Greci lo sostengono a partire da La mistagogia del Santo Spirito del patriarca Fozio (vedi qui), non prima.
Lo stesso si dica della lettura esclusivista del Simbolo del Concilio di Costantinopoli, che storicamente aveva ben altro di mira, ossia l'affermazione della divinità dello Spirito Santo contro gli pneumatomachi (vedi qui): affermare l'origine dello Spirito (come del Figlio) dal Padre significava blindarne la divinità, distinguendolo però dal Figlio per il fatto che lo Spirito esce eternamente dal Padre non per generazione, ma per processione.
Che la formula ex Patre volesse escludere la processione anche dal Figlio non era minimamente nelle intenzioni di quel Concilio; semplicemente, né lo negò né lo affermò; così come il passo di Gv 15, 26.
E questo spiega la pacifica convivenza delle due formule del Simbolo – con il Filioque per i Latini e senza per i Greci – fino al 1014.
Dunque, l'affermazione della processione dal solo Padre, con esplicita esclusione del Figlio, non mostra, nonostante l'apparenza, una fedeltà alle Sacre Scritture e al Simbolo costantinopolitano, ma all'interpretazione che ne diede Fozio.
Interpretazione che, come si è visto, ha generato altri problemi non risolti. Problemi che aumentano allorché vedremo le posizioni dei Padri.
Fonte "Il Filioque nelle Sacre Scritture"
Da Atanasio ad Agostino, il Filioque nei Padri
Non vi è dubbio che cattolici e ortodossi abbiano disputato sul Filioque non solo a partire dalle Sacre Scritture, ma anche dall'interpretazione che di esse hanno dato i santi Padri.
Prima di addentrarci in questo argomento, può risultare utile richiamare che, in una dichiarazione del Concilio ecumenico di Costantinopoli II (553), ciascun padre conciliare dichiarava di accettare quanto stabilito dai quattro concili ecumenici precedenti (Nicea, Costantinopoli I, Efeso, Calcedonia) e quanto insegnato dai santi Padri e Dottori, riconosciuti da tutti, circa la fede.
A noi interessa particolarmente la lista di questi Padri, accolti come maestri della fede: Atanasio, Ilario di Poitiers, Basilio Magno, Gregorio Nazianzeno, detto il Teologo, Gregorio di Nissa, Ambrogio, Agostino, Teofilo d'Antiochia, Giovanni di Costantinopoli, Cirillo d'Alessandria, Leone Magno e Proclo di Costantinopoli.
Perché questa premessa è importante? Perché sia cattolici che ortodossi ammettono che, sebbene nelle opere di singoli Padri possano essere contenuti errori e imprecisioni, tuttavia non è possibile che nel loro insieme essi insegnino un'eresia.
Ora, tra questi Padri ve ne sono non pochi che hanno insegnato esplicitamente, sebbene mediante una terminologia non sempre univoca, che lo Spirito Santo, nella sua ipostasi, proviene anche dal Figlio.
Sant'Ilario, per esempio, nel suo De Trinitate (2, 29), afferma che dello Spirito Santo «non c'è bisogno di parlarne, perché noi siamo tenuti a confessarlo come colui che procede dal Padre e dal Figlio».
Sant'Ambrogio si pone sulla scia di Ilario quando insisteva, come hanno fatto diversi Padri, sul parallelo tra la “derivazione” del Figlio dal Padre e quella dello Spirito dal Figlio, mostrando in questo modo di non riferirsi semplicemente alla Trinità economica ma alla Trinità immanente (per questa distinzione, vedi l'articolo precedente).
In Ambrogio è chiaro che, anche per quanto riguarda le ipostasi trinitarie, il Figlio tutto riceve dal Padre, mentre lo Spirito tutto riceve dal Figlio: tutto, dalle loro operazioni verso il mondo all'ordine immanente della Trinità. Spiegava infatti sant'Ambrogio che tutto quello che lo Spirito ha ricevuto dal Figlio, «lo ha ricevuto grazie all'unità della sostanza, così come il Figlio lo ha ricevuto dal Padre. (…) Che c'è di più evidente, dunque, di questa unità? Quello che ha il Padre è del Figlio e anche lo Spirito riceve quello che ha il Figlio» (De Spiritu Sancto 2, 11. 118).
Così come il Figlio riceve tutto quello che deriva dalla consustanzialità con il Padre perché è da Lui generato, così lo Spirito riceve tutto quello che deriva dalla consustanzialità con il Figlio, perché procede da Lui, unico principio della sua processione insieme al Padre.
Grande importanza riveste anche la posizione di sant'Atanasio, che spicca su tutti i Padri come il grande campione della fede nicena contro le derive ariane. Anch'egli, come Ambrogio, insegna il “metodo”, caro ai Padri, di un approccio scevro da quella rigida dicotomia che allontana tra loro la vita trinitaria interna e le operazioni esterne.
Nelle Lettere a Serapione, che Atanasio indirizzò al vescovo di Thmuis per confutare una nuova pericolosa eresia che negava la divinità dello Spirito Santo, egli stabiliva un parallelo stringente tra Padre/Figlio e Figlio/Spirito Santo.
L'obiettivo di Atanasio era quello di affermare la divinità dello Spirito Santo, non certo di dirimere la questione del Filioque, che sorgerà in sostanza solo con il patriarca Fozio; tuttavia l'impalcatura argomentativa, che – lo ripetiamo – trae i rapporti della Trinità immanente a partire dalla Trinità economica, porta alla rigorosa conseguenza della processione dello Spirito Santo dal Figlio.
Vediamo qualche passaggio della prima lettera di Atanasio a Serapione: «Come il Figlio è unigenito, così anche lo Spirito, dato e mandato da parte del Figlio, è anch'egli uno (...). Se infatti il Figlio, Verbo vivente, è uno, così una dev'essere la perfetta e piena sua energia vivente, santificatrice e illuminatrice, che è suo dono. Essa è detta procedere dal Padre perché rifulge, è inviata ed è data da parte del Verbo, il quale, come noi professiamo, è dal Padre» (I, 20. 7).
Si può notare come Atanasio interpreti Gv 15, 26: la processione dello Spirito dal Padre non esclude affatto il Figlio; al contrario, è proprio la processione dal Padre a includere nella medesima processione quel Figlio che è sempre con il Padre, perché è dal Padre. Il parallelo Figlio-Spirito Santo incalza: «Il Figlio è inviato dal Padre... Il Figlio a sua volta manda lo Spirito (…). Il Figlio glorifica il Padre... A sua volta, lo Spirito glorifica il Figlio (…). Il Figlio dice: “Ciò che ho udito dal Padre, questo lo dico al mondo”. Lo Spirito, a sua volta, prende dal Figlio, il quale dice infatti: “Prenderà del mio e ve lo annunzierà”. Il Figlio venne nel nome del Padre; dello Spirito Santo il Figlio dice: “Il Padre lo manderà nel mio nome”» (I, 20. 8).
Atanasio conclude che «tale rapporto di natura che lo Spirito ha verso il Figlio è identico a quello che il Figlio ha verso il Padre» (I, 21. 1), mostrando così la fluidità del passaggio dalla Trinità economica a quella immanente.
Il più esplicito filioquista tra i Padri di sicura dottrina elencati dal secondo Concilio costantinopolitano è sant'Agostino. Nella sua opera dedicata alla Trinità, egli riprende il parallelo tra generazione del Figlio e spirazione dello Spirito, che abbiamo già visto in Ambrogio e Atanasio, conducendolo ad una precisazione di grande importanza: «E chi può comprendere (…) che il Padre ha dato la vita al Figlio non come a un essere che esistesse già senza avere la vita, ma che lo ha generato al di fuori del tempo in modo che la vita che il Padre ha dato al Figlio generandolo sia coeterna alla vita del Padre che gliel’ha data; questi comprenda, dico, che come il Padre ha in se stesso anche la proprietà di essere principio della processione dello Spirito Santo, ha dato ugualmente al Figlio di essere principio della processione del medesimo Spirito Santo, processione fuori del tempo nell’uno e nell’altro caso, e comprenda che è stato detto che lo Spirito Santo procede dal Padre, perché si intenda che l’essere anche il Figlio principio della processione dello Spirito Santo, proviene al Figlio dal Padre».
Si noti ancora una volta come il passo di Gv 15,26 venga interpretato in senso inclusivo della processione anche da parte del Figlio: proprio perché lo Spirito procede dal Padre, non procede dal solo Padre, ma anche dal Figlio, che dal Padre ha ricevuto tutto, incluso il potere di spirazione dello Spirito: «Se infatti tutto ciò che il Figlio ha, lo riceve dal Padre, riceve anche dal Padre di essere anch’egli principio da cui procede lo Spirito Santo».
Pertanto, lo Spirito «procede, primariamente, dal Padre, e per il dono che il Padre ne fa al Figlio senza alcun intervallo di tempo, dal Padre e dal Figlio insieme» (De Trinitate XV, 26. 47).
È sulla base di questi testi che molti santi latini hanno in seguito affermato la processione dello Spirito dal Padre e dal Figlio, da san Fulgenzio di Ruspe a papa san Leone III, passando per san Cesario di Arles, san Gregorio Magno e sant'Isidoro di Siviglia. Si tratta di santi Dottori che erano stimati e venerati da Greci e Latini non solo nel primo millennio, ma ancora oggi.
Il minimo che si possa concludere è che la dottrina filioquista era stata insegnata per secoli da numerosi Padri e santi senza che questo comportasse, da parte orientale, alcuna accusa di eresia. Questi stessi Padri, che mai avevano letto Gv 15, 26 come testimonianza della processione dello Spirito dal solo Padre, avevano altresì mantenuto una profonda relazione tra Trinità economica – in particolare l'invio del Figlio nel mondo da parte del Padre, e l'invio dello Spirito Santo nel mondo da parte del Padre e del Figlio – e Trinità immanente.
Fonte "Da Atanasio ad Agostino, il Filioque nei Padri"
Fine della prima parte. Continua.
2024-11-09
Autore : Luisella Scrosati
Fonte : La Nuova Bussola Quotidiana