Utilizziamo i cookie per assicurarci di darti la migliore esperienza sul nostro sito web. Se continui ad utilizzare il sito, assumiamo che tu accetti di ricevere i cookie da questo sito web
Ogni volta che sentiamo parlare di sovranità monetaria rischiamo di ricadere subito sul termine “sovranità”. Ci viene in mente il “re-sovrano”, che con la sua zecca conia monete con la propria immagine. Insomma: un esercizio formale di potere, che usa la circolazione delle monete come forma di autopropaganda.
Certamente uno degli aspetti legati alla sovranità monetaria metallica o cartacea è la possibilità di fare propaganda tramite la circolazione di certe immagini. La cosa è avvenuta per secoli in passato e l’attuale Banca Centrale Europea non fa eccezione, usando le banconote per propagandare l’idea di Europa unita.
Tuttavia questo aspetto legato alla sovranità monetaria oggi è diventato marginale rispetto ad altre questioni ben più importanti che analizzeremo in questo articolo.
Molte persone sono convinte che il denaro abbia una funzione “neutrale”, in quanto ciascuno di noi lo incassa e lo spende, senza preoccuparsi troppo delle regole di emissione e di circolazione.
Che si tratti di euro, di dollari, di lire o di antichi talleri fa poca differenza. Quando si sente parlare di “sovranità monetaria” si pensa quindi alle ideologie nazionaliste-sovraniste-populiste, che si rifanno alla sovranità nazionale in contrapposizione alle decisioni prese da organismi politici sovranazionali.
Si pensa a leader come i vari Trump, Le Pen, Salvini, Farage, Orban, ecc.
La moneta è vista un simbolo di sovranità nazionale. In questo senso essere per la sovranità monetaria nazionale significa essere nazionalisti, mentre essere in favore di una moneta unica sovranazionale, come ad esempio è l’euro, significa aderire ad una visione ideologica multinazionale del mondo.
In entrambi i casi si tratta di una visione ideologica della moneta, che trascura totalmente il ruolo che una moneta svolge nella nostra economia moderna.
In questo articolo spiegherò come in realtà la sovranità monetaria non è una questione ideologica e simbolica, ma è qualcosa di molto concreto, che ci riguarda tutti e che ha profondamente a che fare con la nostra vita di tutti i giorni: il nostro stipendio, il prezzo dei beni o servizi che acquistiamo, la salvaguardia dei nostri risparmi, i servizi pubblici.
Che cos’è il denaro
Per comprendere cosa significhi la sovranità monetaria è prima di tutto necessario comprendere che cos`è la moneta nella società umana. Non tanto a livello individuale, perché tutti sappiamo bene a cosa serve e come funziona il denaro, ma come funziona a livello collettivo.
Lungo la storia l’umanità ha creato molti tipi di moneta aventi come primo scopo la facilitazione degli scambi di beni e di servizi, permettendo di dilazionarli nel tempo.
Il baratto è uno scambio diretto e immediato, che non richiede moneta, ma la maggior parte degli scambi oggi avviene in modo indiretto ovvero io vendo i beni/servizi che ho prodotto, mettendoli sul piatto comune del baratto multilaterale.
In cambio posso prendere ciò di cui ho bisogno, prendendolo dallo stesso piatto. Il denaro è lo strumento che serve a misurare il valore di ciò che metto sul piatto e di ciò che desidero prendere dal piatto.
Dal punto di vista del valore reale il denaro non ha valore, in quanto il baratto multilaterale si conclude solo quando ho preso dal piatto dei beni o servizi in cambio di quelli che ci avevo messo tramite il mio lavoro.
Il valore aggiunto creato dallo strumento è la facilitazione degli scambi, la quale permette a ciascuno di noi di produrre in modo più specializzato ed efficiente, sapendo che altri fanno lo stesso.
Alla fine la produttività complessiva è aumentata, perché tutti abbiamo potuto produrre con maggiore competenza i beni e servizi richiesti dalla comunità economica.
Quindi siamo tutti più ricchi.
Se ciascuno dovesse prodursi da sé tutto quello che serve la produzione sarebbe molto meno efficiente e saremmo più poveri.
La cosa importante è la fiducia nella rappresentazione di valore dello strumento-denaro che utilizziamo, dato che sempre esiste il rischio che qualcuno prenda beni e servizi dal piatto senza avere prodotto altrettanto (come fanno i ladri).
Per questo si è reso necessario istituire un’autorità di controllo pubblica (il re o la banca centrale) che assicuri che il denaro detenuto in questo momento da una persona sia effettivamente corrispondente al valore dei beni e servizi precedentemente prodotti. Se ciascuno fabbricasse da sé il denaro questa verifica non sarebbe possibile.
Un’altra funzione collettiva della moneta è il regolamento degli scambi economici internazionali fra diverse nazioni.
Se all’interno di una comunità economica nazionale esiste la fiducia sul valore di scambio della propria moneta nazionale, negli scambi internazionali il valore non è garantito dalla fiducia, ma dalla qualità/quantità di beni e servizi oggetto degli scambi internazionali.
Se il paese A ha una bilancia commerciale in attivo rispetto al paese B, la moneta del paese A sarà più richiesta di quella del paese B. Di conseguenza ci sarà un naturale aumento del tasso di cambio di A rispetto a B, con le conseguenze del caso sui commerci.
Quindi se anche il paese B stampasse più monete per acquistare “a gratis” più merci dal paese A senza migliorare la propria bilancia commerciale, il mercato delle valute riaggiusterebbe rapidamente il tasso di cambio.
Nella realtà la situazione non è così semplice, in quanto ci sono delle valute accettate da tutti a livello internazionale su base fiduciaria, come il dollaro e in quanto ci sono gli interventi delle banche centrali che tendono a contrastare le naturali dinamiche dei tassi di cambio.
In questo articolo non ci occuperemo di questi aspetti. Ci basti sapere che per le grandi nazioni con decine di milioni di abitanti l’economia interna è sempre più rilevante degli scambi con l’estero, per cui la questione dei tassi di cambio risulta meno rilevante di altre questioni che andiamo a trattare in questo articolo.
Breve storia della moneta
Dal punto di vista storico sono state utilizzate come mezzi di pagamento diverse soluzioni tecniche che consentivano di mantenere il valore nel tempo, in modo da avere il tempo di completare il “baratto multilaterale”.
Ad esempio veniva usato il sale (da cui il termine salario) o il bestiame (pecus -> pecunia). Per secoli sono state utilizzate monete metalliche (oro, argento, bronzo o leghe varie) avente un valore intrinseco garantito dal conio dell’autorità pubblica.
A partire del XVIII secolo in Europa hanno iniziato a diffondersi le banconote cartacee. Si trattò di una rivoluzione, perché dopo molti secoli non era più necessario utilizzare come moneta un oggetto metallico di valore intrinseco, ma era sufficiente uno strumento scritturale certificato che garantiva il valore nominale.
Inizialmente le banconote dovevano essere garantite da corrispettive riserve d’oro depositate nei forzieri (l’oro restava la vera moneta a corso legale), ma, siccome nessuno andava a controllare quanto oro c’era nei forzieri, la quantità di banconote superava la quantità di riserve.
Ovvero: la quantità di moneta non corrispondeva più al valore del lavoro (produzione di beni e servizi) già realizzato, ma al valore della produzione futura. Questa fu la seconda grande rivoluzione, perché si era capito che serve più denaro se la produzione economica cresce, perché aumenta la popolazione, perché aumenta la specializzazione del lavoro e perché vengono creati nuovi macchinari che consentono di aumentare la produzione per unità di tempo.
L’aumento degli scambi richiede più denaro.
Di conseguenza si era sempre meno interessati alle riserve d’oro nei forzieri e si era più interessati alla possibilità di aumentare la produzione e la disponibilità di beni e servizi: la vera ricchezza di una società economica.
L’evoluzione finale della tecnica monetaria ha infine portato all’attuale moneta elettronica scritturale, che oggi rappresenta oltre il 95% della massa monetaria in circolazione. Le scritture su carta sono diventate scritture su computer e su carte magnetiche.
Breve storia giuridica della moneta
La moneta nacque come strumento “privato” utile per i commerci privati. Solo successivamente è nata la moneta “del sovrano”, il quale garantiva il peso e la purezza del metallo apponendo la propria effige sulle monete e imponeva, con la forza, di pagare le tasse in quella moneta.
E, naturalmente, il sovrano lo faceva per trarne dei vantaggi, sia di tipo fiscale (è più funzionale riscuotere tasse in denaro che in natura), sia per la possibilità di imporre la riduzione del titolo metallico a parità di valore nominale. La differenza guadagnata fra il valore in natura percepito e il valore nominale è il famoso “signoraggio”.
L’uso del diritto sulla creazione della moneta si è reso necessario per regolamentare questa quota di “signoraggio”. Solo il re aveva il diritto di imporre un valore nominale inferiore al valore intrinseco del metallo, traendone profitto, a beneficio del popolo (se governava bene) o di sé stesso (se governava male).
Quando, nel Medioevo i commercianti hanno iniziato ad avere sempre più soldi, sono aumentati i prestiti ad interesse e ad usura. Con l’avvento della moneta cartacea scritturale il fenomeno è aumentato ulteriormente.
I commercianti dediti ai prestiti a interesse hanno creato le banche private. Le banche private prestavano soldi anche ai re, finanziando le guerre.
Le guerre portavano 2 vantaggi: 1) indebitavano i re con le banche, aumentando il potere politico delle banche sul re; 2) consentivano di conquistare nuovi territori di re che non sottostavano a quel sistema, portandoli sotto il controllo finanziario delle banche.
Quando studiamo la storia e le varie guerre non ci spiegano mai che le guerre si facevano solo se erano finanziate dalle banche. Quindi erano le banche a consentire o a non consentire ai re di fare le guerre. E con chi. Quando il re vinceva la guerra, poteva annettere un nuovo territorio e quel territorio era anche conquistato agli interessi della banca.
I prestiti a interesse agli stati sono un sistema di controllo perenne, in quanto la quota degli interessi può essere ripagata solo contraendo un nuovo prestito.
La tassazione dei cittadini e delle imprese è lo strumento per massimizzare la rendita delle banche, che riescono a estrarre valore dal lavoro di tutta la nazione assoggettata.
Il potere delle banche crebbe fino ad arrivare alla nascita delle banche centrali. La prima fu la Banca d’Inghilterra, nata nel 1694.
Successivamente il potere delle banche centrali aumentò fino a ottenere l’incarico esclusivo dal sovrano (e successivamente degli stati “democratici”) per l’emissione delle banconote a corso legale e di decidere le regole di emissione e di circolazione del denaro.
Le banche centrali inizialmente mantenevano ancora un legame con il potere politico istituzionale, tuttavia nel corso del XX secolo la regolamentazione delle banche centrali ha consentito un fortissimo sviluppo delle banche private, riducendo l’emissione di moneta a corso legale all’attuale 3% circa del denaro circolante.
Di conseguenza il potere dello stato è fortemente diminuito.
La maggior parte del denaro che oggi utilizziamo, circa il 97%, non è moneta a corso legale, ma è moneta scritturale privata bancaria originata dall’emissione di nuovi prestiti bancari.
Quando una banca fa un prestito scrive “dal nulla” sul conto corrente del signor X l’importo del denaro creato. Il signor X fa un bonifico al signor Y e le scritture vengono modificate. Quel denaro continua a circolare di conto corrente in conto corrente, fino a che ritornerà al signor X che, nel frattempo, sta pagando le rate per restituire il prestito.
I nuovi prestiti creano nuovo denaro. Le rate pagate distruggono il vecchio denaro. Il tutto in una evoluzione dinamica.
Il meccanismo creato dalle banche del Medioevo e dell’Età Moderna viene mantenuto, dato che l’importo da restituire, capitale + interessi, è sempre superiore all’importo prestato. In questo modo inevitabilmente qualcuno dovrà contrarre nuovi prestiti a interesse, perpetuando il sistema. Come una droga che dà dipendenza.
Oggi le banche centrali hanno conquistato il potere di regolamentazione e di controllo sull’attività delle banche private.
Contemporaneamente hanno mantenuto il ruolo di perpetuare il debito degli stati, dato che la moneta a corso legale, le banconote cartacee, vengono sempre prestate a interesse agli stati in cambio di titoli di debito, i quali stati sono obbligati a emettere nuovo debito per restituire il precedente prestito + interessi. Esattamente lo stesso meccanismo utilizzato nel settore privato.
Le banche centrali oggi sono indipendenti dal potere politico ovvero decidono la regolamentazione senza tenere conto delle decisioni dell’autorità politica.
Evidentemente nessuno ci garantisce che lo facciano negli interessi dei popoli, quanto piuttosto negli interessi di certi investitori finanziari.
Le regole delle banche centrali, infatti, portano vantaggi ad alcuni e svantaggi per altri, non sono mai neutrali. Ed è un fatto che le persone che operano a guida delle banche centrali hanno tutte fatto carriera nel mondo delle banche private.
Non a caso le poche banche centrali che ancora sottostanno al controllo politico si trovano in paesi autoritari (Cina, Russia, Venezuela, Cuba, Iran, ecc.) che sono “non amici” del blocco dei paesi occidentali, nei quali invece le banche centrali sono indipendenti dalla politica, operando per conto di altri interessi.
Le regole delle banche centrali e la nostra vita quotidiana
In quale modo le regole delle banche centrali influenzano l’economia reale a cui noi quotidianamente partecipiamo ?
La banca centrale ha il potere di determinare il tasso di interesse di riferimento, che è il tasso a cui la banca centrale presta denaro alle banche private.
Questo valore determina indirettamente il livello dei tassi di interesse che uno stato deve pagare sul debito pubblico e il livello dei tassi di interesse che famiglie e imprese devono pagare sui prestiti contratti con le banche.
Un aumento della quota interessi da pagare limita la possibilità di stato, famiglie e imprese di fare investimenti. Un aumento eccessivo dei tassi di interesse porta alla recessione economica ed alla distruzione di posti di lavoro, con l’aumento di disoccupazione e povertà, portando allo stesso tempo, quantomeno nel breve e medio termine, a un aumento degli utili da parte delle banche e degli investitori finanziari.
La banca centrale può decidere se cooperare o meno con il governo a livello economico. Può decidere di acquistare illimitatamente i titoli di debito emessi dal governo stampando più denaro.
In questo modo il governo potrebbe emettere titoli a tasso zero per finanziare la spesa pubblica, liberandosi dal giogo della quota interessi.
Se la banca centrale, come fa la BCE, non coopera per l’acquisto illimitato di titoli (come invece fa attualmente la BOJ giapponese), allora sono i mercati a determinare i tassi di interesse che lo stato deve pagare sul debito, gravando sui bilanci di cittadini e imprese.
Addirittura la banca centrale potrebbe dare al governo il denaro che stampa senza chiederne la restituzione. Di conseguenza il governo potrebbe mantenere gli stessi livelli di spesa pubblica riducendo le tasse.
Oppure potrebbe aumentare gli investimenti pubblici senza dover aumentare le tasse.
La banca centrale, indipendente dal potere politico, può decidere di fare questo o di non farlo. Può cooperare con il governo per favorire lo sviluppo economico o può non cooperare con il governo, lasciandolo disarmato nell’intento di risolvere i problemi economici e sociali derivanti dalla mancanza di fondi pubblici.
Naturalmente se la banca centrale favorisce una eccessiva messa in circolazione di nuovo denaro, non corrispondente ai livelli produttivi, c’è anche il rischio di un aumento dell’inflazione, che andrebbe a erodere il potere d’acquisto delle famiglie.
Non si capisce perché questa responsabilità debba essere della banca centrale e non di chi è stato votato per governare il paese.
Il fatto che la banca centrale sia indipendente sottrae al governo politico la possibilità, ma anche la responsabilità, di decisioni molto rilevanti per la politica economica di un paese.
La banca centrale stabilisce il livello di riserve che le banche private devono garantire (oggi siamo intorno al 10%) per fare nuovi prestiti.
Se il livello di riserve si riduce, le banche private hanno la possibilità di fare più prestiti, mettendo in circolazione più moneta scritturale e causando fenomeni inflattivi (specialmente nel settore immobiliare).
Se il livello di riserve aumenta, si riduce la possibilità per le banche di fare credito. L’effetto è simile a quello dell’aumento dei tassi di interesse, con la differenza che non ci sono ripercussioni diretti sui tassi di interesse dei prestiti e dei titoli di stato.
Combinando insieme le diverse regole la banca centrale può far crescere l’economia privata stimolata dal credito delle banche private (costruzioni, investimenti produttivi delle imprese) e far crescere l’economia pubblica stimolata dalla spesa governativa (spesa sociale, infrastrutture pubbliche, servizi pubblici). O viceversa, naturalmente.
Negli ultimi decenni le banche centrali hanno deciso di minimizzare il ruolo dello stato nell’economia. Ovviamente senza chiedere il nostro permesso.
Infine la banca centrale deve controllare la correttezza dell’attività delle banche private. Se i controlli sono rigorosi, le banche rispetteranno le regole prestabilite. Ma se i controlli non sono rigorosi, o addirittura in conflitto di interessi, allora le banche private potranno commettere irregolarità e persino crimini, danneggiando imprese e famiglie a favore di pochi.
In Italia negli ultimi decenni siamo stati testimoni di molti scandali derivanti dalla scarsa vigilanza della Banca d’Italia.
In conclusione il potere giuridico oggi attribuito alle banche centrali consente loro di influenzare enormemente la politica economica di un paese, senza però renderne conto ai cittadini. La parte più sostanziale delle decisioni politiche proprie di uno stato democratico sono state affidata a un organismo non democratico e autoreferenziale, senza che neppure noi ne fossimo informati.
Di conseguenza oggi è la banca centrale a determinare in gran parte i risultati delle politiche economiche di un governo, senza però assumersene le responsabilità.
Stante questa situazione, che cosa significa oggi avere la sovranità monetaria?
La sovranità monetaria nell’economia moderna
Stanti gli attuali poteri della banca centrale una nazione che avesse la sovranità monetaria non avrebbe molti margini di manovra in più rispetto a una nazione priva di sovranità monetaria formale, come lo è ad esempio l’Italia che non dispone più di una propria moneta nazionale.
L’unico vantaggio sarebbe che non avremmo un tasso di cambio fisso con gli altri paesi dell’area valutaria (Eurozona), per cui la moneta sovrana potrebbe svalutarsi o rivalutarsi in funzione degli scambi commerciali, come è successo ad esempio in Europa a paesi come la Polonia o l’Ungheria.
Sarebbe un piccolo per favorire il nostro sistema produttivo indirizzato alle esportazioni, ma non così rilevante per l’economia del paese che si basa soprattutto sul mercato interno.
Quindi invocare il ritorno alla sovranità monetaria formale senza andare a riformare lo status giuridico della banca centrale servirebbe a ben poco.
Se il governo avesse i poteri della banca centrale potrebbe facilmente trovare i fondi necessari, creando più denaro dal nulla (come fanno le banche centrali) e senza caricarsi di debiti a interesse, per fare nuovi investimenti e creare posti di lavori per i disoccupati.
Questi investimenti non porterebbero a un aumento dell’inflazione, in quanto gli ex disoccupati ora stipendiati aumenterebbero il loro potere di spesa, andando ad aumentare le vendite, quindi anche la produzione, di beni e servizi nel settore privato.
Allo stesso modo il governo potrebbe ridurre il carico fiscale (e magari anche la burocrazia) che pesa su famiglie e imprese, in modo da lasciare più risorse in tasca a famiglie e imprese per i loro investimenti privati.
Non mancherebbero i fondi per gli interventi di risanamento idrogeologico del paese o per la messa in sicurezza sismica degli edifici. Il limite sarebbe ora costituito dalla disponibilità della forza lavoro.
Il debito pubblico cesserebbe di essere un problema, in quanto lo stato non avrebbe bisogno di indebitarsi per finanziarsi. La vendita di titoli resterebbe un semplice servizio pubblico di risparmio per i risparmiatori.
Naturalmente un governo avente i poteri della banca centrale dovrebbe anche assumersi la responsabilità delle proprie scelte, facendo attenzione a non far crescere troppo il tasso di inflazione a seguito di una spesa eccessiva.
In attesa di avere al governo delle forze politiche con le idee chiare sulla sovranità monetaria e capaci di riformare la banca centrale, in realtà ci sarebbero già ora dei margini di manovra.
Invece di riformare la banca centrale si potrebbe semplicemente creare una moneta parallela pubblica, cosa che non è per nulla vietata dai trattati europei che l’Italia ha sottoscritto.
Lo stato potrebbe usarla per pagare dipendenti e fornitori e accettarla per il pagamento delle tasse. Naturalmente ci sarebbe un meccanismo di cambio con le altre monete circolanti in altri paesi (euro, dollaro, ecc.).
Peraltro oggi, con la moneta per lo più in forma elettronica, sarebbe semplice creare una moneta parallela, con tanto di scrittura blockchain per evitare le falsificazioni. Lo potrebbe fare direttamente il Ministero dell’economia, attribuendo a ogni cittadino o soggetto giuridico un conto corrente gratuito su cui scrivere le cifre dei conti.
L’attuale banca centrale verrebbe relegata ad occuparsi della vecchia moneta che andrà progressivamente fuori mercato.
Tutte le restrizioni vigenti sui conti pubblici derivanti dai trattati europei riguardano i conti in euro, non i conti in una eventuale valuta parallela interna.
A quel punto il governo si sarebbe di colpo liberato da tutti i vincoli artificiali imposti negli anni da parte di organismi nazionali e internazionali molto attenti agli interessi dei mercati finanziari e molto poco agli interessi di famiglie e imprese.
A quel punto al governo resterà solo la responsabilità di gestire in modo opportuno ed accorto lo strumento della piena sovranità monetaria, per favorire l’economia del paese a vantaggio della popolazione e non di ristretti poteri finanziari.
Fonte "La sovranità monetaria non è quello che pensiamo"
Osservazioni sulla sovranità monetaria. Un confronto con Davide Gionco
di Samuele Salvador, 9 ottobre 2024
Nel recente intervento di Davide Gionco circa la sovranità monetaria ho riscontrato delle posizioni e dei concetti che considero errati e che ritengo non aiutino a comprendere la situazione reale e le possibili (realistiche) prospettive future.
Non mi riferisco all’esposizione della natura e della storia della moneta, chiara ed efficace, bensì alla descrizione delle caratteristiche del debito ed in particolare del debito pubblico, oltre che dei benefici che la sovranità monetaria (nell’accezione esposta dall’autore) porterebbe. Nello spirito di un franco confronto esporrò le mie osservazioni.
Nel testo innanzitutto aleggia un concetto, più o meno esplicitato, ossia che i debitori siano vittime innocenti dei loro creditori e che dunque lo Stato debitore sia soggiogato da forze maligne.
Ora, non tratterò qui della liceità o meno del prestito a interesse (tema senz’altro doveroso di approfondimento), il punto è indipendente dalla presenza di usura.
Uno Stato si indebita per la sola ed unica ragione che il proprio bilancio presenta un disavanzo. E ciò è dovuto o ad un’ eccessiva spesa o ad entrate insufficienti. Il ricorso al credito è una conseguenza, non la causa dello squilibrio di bilancio.
Niente obbliga gli Stati ad emettere nuovo debito, si tratta di una scelta politica. Che i creditori pretendano un interesse è irrilevante, implica solamente che il costo del debito sarà maggiore, costo che in ogni caso andrebbe ripagato e perciò messo a bilancio.
Se un soggetto si trascina nel tempo del debito non estinto, dovrà tentare di ridurre le proprie spese comprimibili o farà in modo di aumentare le proprie entrate così da ripagarlo quanto prima. Ma la causa dell’indebitamento sarà unicamente ascrivibile alla propria maldestra gestione delle finanze.
Nel testo viene poi fatto intendere che le banche centrali prestino denaro agli Stati comprando i loro titoli, e che questa sia la forma principale del finanziamento dei Paesi (che perciò risulterebbe matematicamente inestinguibile).
Tuttavia, le cose non stanno così. Il ricorso al debito non è lo strumento unico né principale che uno Stato ha a disposizione per finanziarsi (come non lo è dell’impresa o della famiglia).
Le entrate di uno Stato sono costituite quasi esclusivamente dalle tasse (peraltro indebitarsi equivale a finanziarsi con tasse future). L’eventuale (e certamente troppo ingente) ricorso al credito avviene sui mercati, gli acquirenti dei titoli sono soggetti privati, non le banche centrali.
Queste sono per definizione i prestatori di ultima istanza e un loro acquisto dei titoli significherebbe che nessun altro soggetto al mondo era disposto a comprarlo, il che implica che lo Stato in questione è considerato unanimemente sull’orlo del fallimento, ritenuto incapace di ripagare il debito.
Si ottiene così in questi casi la monetizzazione del debito. Se acquisti di questo tipo sono avvenuti nell’Eurozona, sono da considerarsi del tutto inusuali ed eccezionali.
Nel testo poi si lamenta il mancato controllo politico delle Banche Centrali, in particolare di quella Europea. Certamente condivido l’attenzione per l’assunzione di responsabilità, per il rendere conto delle scelte effettuate in ambito pubblico e si può dibattere sui modi per implementare tutto ciò.
Tuttavia, non si possono dipingere i banchieri centrali come dei despoti assoluti: l’indipendenza dei tecnici delle Banche centrali non sta nel porre degli obiettivi, la discrezionalità sta nei modi e tempi di utilizzo degli strumenti a loro disposizione per raggiungerli.
Ad esempio, l’obiettivo di mantenere l’inflazione entro il 2%, che muove l’operato della BCE, è stabilito dal Trattato di Maastricht, redatto e sottoscritto in sede politica, da rappresentanti politici degli Stati membri.
Può non piacere (e certo non si può dire perfetto) ma non si può affermare che i parametri siano stabiliti arbitrariamente dai dirigenti tecnici della Banca Centrale, magari per favorire gruppi di investitori privati.
Nulla vieta ai politici di discutere e modificare i parametri contenuti nel Trattato. Una eventuale colpevole negligenza in questo senso è esclusivamente politica. Se poi si ritiene il contenimento dell’inflazione un limite all’agire politico, io non lo condivido.
Si sostiene poi che l’indipendenza delle Banche centrali, negando la sistematica monetizzazione del debito, avrebbe minimizzato il ruolo degli Stati nell’economia e impedito investimenti che avrebbero favorito lo sviluppo.
La spesa pubblica in Italia ammonta oramai ad oltre il 54% del PIL nazionale. Per intenderci, la maggior parte dell’economia è sotto il diretto controllo politico, come da migliore tradizione socialista.
Ritenere che lo Stato non abbia risorse sufficienti a svolgere i propri compiti non ha ragion d’essere. A meno che non si sostenga che si otterrebbero ricchezza e prosperità eccezionali se solo lo Stato controllasse ancor più quote di economia.
Lo Stato attualmente gestisce quantità enormi di denaro, l’ultima cosa di cui abbiamo bisogno è che ne stampi di nuovo. Se all’autore la situazione attuale pare corrispondere ad un ruolo “minimo” dello Stato nell’economia, non oso immaginare a cosa assomigli la situazione ideale.
L’idea di perseguire una spesa pubblica sostenuta dalla monetizzazione è propria della cosiddetta teoria monetaria moderna (per gli anglofoni Modern Monetary Theory o MMT), secondo la quale gli interventi dello Stato in campo economico coincidono con la spesa. Maggiore la spesa, maggiore il risultato di benessere dei cittadini.
Ora, tralasciando il fatto che una spesa pubblica ipertrofica soffocherebbe inevitabilmente l’iniziativa privata, l’elefante nella stanza di questa teoria è l’inflazione.
Lo stesso autore ne fa menzione ma a mio avviso sottovaluta enormemente la sua portata. Auspicare la sistematica monetizzazione del debito comporta sistematicamente inflazione. Inflazione che colpisce per primi e più duramente i ceti meno abbienti.
La si può considerare come una patrimoniale occulta che impoverisce tutti. Tutti ci perdono, tutti meno che i debitori, i quali vedono diminuire in termini reali il proprio debito ancora da ripagare (nel caso in oggetto lo Stato).
È del tutto fantasioso ritenere che l’immissione di denaro illimitata non provochi una catastrofica inflazione. Si dirà che i benefici economici giungerebbero prima dell’aumento dei prezzi. Può anche darsi, sennonché quegli effetti presto o tardi (molto presto) giungerebbero, inducendo un nuovo intervento pubblico ingenerando una spirale inflativa (uno per tutti, l’esempio dell’Argentina mi pare chiaro).
Come l’autore, anche io considero il debito un problema: condiziona chi lo detiene, per tutto il tempo in cui lo detiene, sottraendo risorse attuali per pagare spese del passato e quindi sottraendole alla disponibilità per far fronte alle esigenze attuali.
Ma ritengo il debito un problema sempre, anche senza interessi. Per la MMT invece il debito non è più un problema, anzi è lo strumento principe delle politiche economiche. Su questo punto l’autore tiene il piede in due scarpe, sostenendo prima che si tratta di un giogo degli speculatori e poi invece della strada verso la ricchezza.
In definitiva se intendiamo la sovranità monetaria come il sistematico ricorso alla monetizzazione del debito, ritengo che si tratti di una proposta buona solo a sviluppare una industria, quella delle carriole, da riempire di banconote per andare a comprare il pane.
Circa il problema del debito pubblico (il quale è e rimane un problema che grava pericolosamente sulle generazioni future), elenco infine sommariamente alcune proposte, in alternativa alla monetizzazione.
In ordine sparso: riduzione della spesa pubblica (unitamente alla riduzione del perimetro di intervento statale), revisione della fiscalità (in particolar modo riduzione delle spese fiscali, ossia della giungla di detrazioni e deduzioni), studiare alternative efficaci al metodo dell’asta marginale per il collocamento dei titoli di Stato per ridurne il tasso di sconto (ad esempio ricorrere ad aste competitive).
Analizzare la modernità politica ed economica, senza considerarla a priori giusta, ma vagliandola alla luce dei principi della Dottrina Sociale della Chiesa, è azione doverosa. Mi auguro che anche le mie osservazioni contribuiscano a questo dibattito.
Fonte "Osservazioni sulla sovranità monetaria. Un confronto con Davide Gionco"
Volentieri trasmetto a Samuele Salvador ed ai lettori le mie risposte alle critiche evidenziate nel suo commento.
Il denaro non è in quantità costante
Nel mio articolo, raccontando la storia della moneta, ho evidenziato 2 passaggi rivoluzionari che ci aiutano a comprendere la questione centrale.
I) “Si trattò di una rivoluzione, perché dopo molti secoli non era più necessario utilizzare come moneta un oggetto metallico di valore intrinseco, ma era sufficiente uno strumento scritturale certificato che garantiva il valore nominale”;
II) “…la quantità di moneta non corrispondeva più al valore del lavoro (produzione di beni e servizi) già realizzato, ma al valore della produzione futura. Questa fu la seconda grande rivoluzione”.
Dobbiamo sempre avere chiaro il concetto che il denaro NON È un valore economico, ma è una rappresentazione del valore economico. Infatti, come ci insegna l’antico mito del Re Mida, nessuno di noi mangia oro, banconote o bit elettronici.
Quindi i veri bilanci economici non li dobbiamo fare in moneta, ma considerando il valore dei beni e servizi che vengono creati grazie al nostro lavoro e di cui disponiamo.
Quando un lavoratore riceve lo stipendio a fine mese e poi lo spende tutto per vivere, il bilancio monetario è pari a 0, ma il bilancio economico è che quel lavoratore ha prodotto dei beni/servizi, che sono stati venduti dalla sua azienda, più i beni/servizi di cui ha potuto disporre per la propria famiglia. Alcuni sono beni durevoli (ad esempio una casa), altri sono beni/servizi di consumo (ad esempio il cibo o una cura medica).
Il fluire del denaro, dal datore di lavoro, al padre di famiglia ai venditori di beni/servizi ha facilitato gli scambi economici, consentendo a tutti di generare, come valore reale in positivo, della ricchezza economica supplementare, grazie al lavoro. Questo anche se il bilancio monetario è in pareggio. Ma anche se fosse in attivo o in passivo: l’importante, quello che davvero conta, è il risultato nell’economia reale: beni e servizi.
Per secoli l’umanità ha usato come mezzo di rappresentazione del valore economico le monete metalliche. A partire dal Medio Evo, a motivo dela crescita economica, la quantità di metallo non era più sufficiente a coniare una quantità sufficiente di monete, per questo si passò alla moneta cartacea. Per questo oggi non esiste più il gold standard, perché non era sostenibile. E per questo oggi si è arrivati alla moneta elettronica, che consente con facilità pagamenti a distanza e funziona meglio della moneta cartacea.
La quantità di denaro non è una costante. Il denaro serve per supportare gli scambi economici. Gli scambi aumentano perché aumenta la popolazione: più persone = più scambi. Gli scambi aumentano perché cresce la specializzazione del lavoro: lavoro più specializzato = meno autoproduzione = maggiore necessità di acquistare beni/servizi prodotti da altri = maggiore disponibilità per tutti di qualità/quantità dei beni/servizi, grazie alla maggiore specializzazione.
Il denaro è uno strumento collettivo. Potremmo paragonarlo alle autostrade. Le autostrade facilitano il traffico. Il denaro facilità gli scambi economici.
Quanti km di autostrade ci servono? Dipende dal traffico e dalle esigenze. Non esiste una quantità di km prestabilita o una regola che ci imponga di non realizzare nuove autostrade, se necessario.
In modo del tutto analogo può rendersi necessario creare più denaro di quello che avevamo ieri. Con il grande vantaggio, rispetto ai km di autostrade, che creare denaro non costa praticamente nulla, mentre costruire un’autostrada costa 10 milioni/km.
Se la quantità di denaro non è costante, qualcuno deve necessariamente creare il nuovo denaro che occorre. Se ciò non avvenisse, si limiterebbero gli scambi economici. La gente, vedendo ridotta la propria capacità di spesa, sarebbe obbligata ad aumentare l’autoproduzione di beni e servizi, togliendo tempo al proprio lavoro specializzato. Impoverendosi. È quello che tecnicamente si chiama deflazione.
È qualcosa che abbiamo visto negli ultimi 40 anni in Italia, dove la quantità di denaro nelle tasche dei cittadini è diminuita. Siamo più poveri rispetto a 40 anni fa, quando un operaio medio risparmiava oltre il 20% dello stipendio ogni mese, mantenendo moglie e 3 figli, mentre oggi 2 adulti che lavorano faticano a mantenere un figlio e non riescono a risparmiare.
È necessario creare nuovo denaro (rivoluzione II) per poter pagare la produzione futura. Se oggi la popolazione produce 100 e domani ha la capacità di produrre 110, aumentando la disponibilità di beni e servizi (la nostra ricchezza economica), è utile e giusto avere denaro sufficiente per pagare quel 10% in più di produzione, perché creare più denaro non costa nulla, mentre il guadagno in beni e servizi sarebbe un arricchimento reale.
In una gestione oculata dello “strumento-denaro”, se la quantità di nuovo denaro corrisponde all’aumento della capacità produttiva, non si ha inflazione (se non causata da altri fattori non monetari), ma si ha una equilibrata crescita economica. Se la quantità di denaro è inferiore a quanto richiesto dalla capacità produttiva, si deprime l’economia. Se la quantità è superiore, si crea inflazione, perché il maggiore denaro creato, non potendo aumentare la produzione, si svaluta rispetto al valore della produzione.
Inoltre: il denaro è una creazione giuridica, perché è la legge a stabilire quali pezzi di carta sono banconote a corso legale e quali no, è la legge a stabilire che i numeri scritti sui computer delle banche sono denaro, mentre quelli scritti sul mio computer non lo sono.
E non servono riserve per creare nuovo denaro (rivoluzione I). Oggi la legge prevede che servano delle riserve (oro, titoli, altre valute), per ragioni “tradizionali”, ma non per reale necessità tecnica.
Durante il governo di Hitler la Germania emetteva denaro (i famosi MEFO) senza riserve, riuscendo senza problemi a risollevare la produzione interna ed a risollevare in pochi anni la disastrata economia tedesca (che usciva dalla Repubblica di Weimar) e a finanziare la costruzione della terribile macchina bellica della Seconda guerra mondiale (la spesa per la piena occupazione, purtroppo, fu mal destinata dal punto di vista politico).
Peraltro usare dei titoli di Stato (carta), come riserva di valore delle banconote (carta), è solo un gioco contabile per farci credere che siano necessarie delle riserve. In realté è ovvio che la carta non può garantire la carta. La vera garanzia di valore del denaro, in realtà, è solo la capacità futura di una economia di produrre beni e servizi in cambio di quel valore nominale.
Se anche, infatti, avessimo i forzieri pieni d’oro, ma non vi fosse nel Paese una capacità produttiva, quell’oro non varrebbe assolutamente nulla, esattamente come non vale nulla la carta e non valgono nulla i bit sui computer delle banche.
Stabilito tutto questo, chi deve avere il diritto di creare il denaro?
Chi deve avere il diritto di spendere per primo il nuovo denaro creato, traendone beneficio economico?
Il bilancio dello Stato
Lo Stato, a nome dei cittadini e imprese che compongono la comunità economica, secondo me, dovrebbe essere l’unico soggetto ad avere diritto di impossessarsi del nuovo potere d’acquisto generato, stampando del nuovo denaro.
Chi altri dovrebbe farlo? Un soggetto privato come la BCE, che neppure è tenuto a rendere conto agli Stati delle sue decisioni e degli effetti sull’economia reale? O le banche private?
Nel mio articolo ho spiegato come si è arrivati, oggi, alla emissione della moneta a corso legale da parte delle banche centrali.
Per ragioni storiche di quando la moneta a corso legale era solo l’oro (che non può essere stampato), è rimasta la tradizione che le nuove banconote vengano emesse a debito.
Una volta, quando le banche detenevano riserve d’oro, emettevano delle note di banco di valore corrispondente alle riserve. La banca imprestava queste banconote, garantite dalla quantità di oro.
Il detentore delle banconote (pagabili a vista al portatore, c’era scritto) poteva, in qualsiasi momento, andare dalla banca e chiederne la conversione in oro. Di conseguenza chi riceveva per primo la banconota o aveva fatto un lavoro di pari valore per la banca o si doveva indebitare con la banca di quell’importo.
Per questo, dal punto di vista contabile, l’emissione delle banconote avveniva a debito. Comprese le banconote che le banche private, e poi la banca centrale, prestavano e prestano allo Stato.
Oggi la BCE stampa le banconote, ne assume il possesso (per diritto di legge) e le usa per comperare dei titoli di Stato, che hanno un valore di mercato. Ovvero la BCE presta allo Stato, chiedendone poi la restituzione, il nuovo denaro stampato compresi gli interessi maturati su quei titoli.
Di conseguenza lo Stato è obbligato ad aumentare ogni anno il proprio indebitamento (facendo deficit di bilancio) anche solo per il fatto di dovere ripagare anche gli interessi sul debito esistente.
Se non venisse creato nuovo denaro (a debito) per pagare gli interessi, lo Stato dovrebbe necessariamente togliere il denaro dai risparmi dei cittadini. È quello che è effettivamente avvenuto negli ultimi 30 anni, a causa del mito del pareggio di bilancio imposto dalla UE, che nel 2012 il nostro Parlamento ha sciaguratamente addirittura messo in Costituzione (art. 81).
È solo il caso di fare notare che un tasso di interesse medio sul debito del 3%, andandosi ad accumulare ogni anno al debito pregresso, genera dal punto di vista matematico un aumento dell’80% del debito in soli 20 anni. (1+0.03)^20 = 1,806
Inoltre se è necessario mettere in circolazione più denaro, per aumentare gli stipendi dei dipendenti pubblici, per pagare lavori pubblici più costosi a causa dell’inflazione, lo Stato deve ulteriormente indebitarsi per mettere in circolazione del nuovo denaro, necessario a mantenere in vita lo Stato e l’economia del Paese, in aggiunta a quello destinato a pagare gli interessi sul debito.
Se questo non avviene, l’economia va in recessione. Cosa che l’attuale ministro Giorgetti, come la maggior parte dei suoi precedessori, non ha compreso. E infatti l’Italia sta tornando in recessione, dopo gli anni fiorenti del Superbonus 110% (lascio che sia l’amico Giovanni Lazzaretti a spiegare i motivi della mini-ripresa economica dell’Italia negli ultimi anni, prima di Giorgetti).
È il caso di sottolineare che, essendo il denaro una creazione giuridica, basterebbe cambiare le regole giuridiche di emissione del denaro per evitare questo problema.
Come detto nell’articolo, lo Stato potrebbe creare da sè il nuovo denaro, metterlo a bilancio e spendere più di quanto incassa senza indebitarsi, senza dovere ogni anno aumentare le tasse o tagliare la spesa pubblica, con gli effetti economici di cui tutti siamo testimoni. Che il denaro debba essere creato a debito è una decisione giuridica, non sta scritto nelle leggi della fisica!
Considerare lo Stato come una famiglia o una impresa, che non possono spendere più di quanto incassano, è un grande errore. Infatti lo Stato è colui che crea lo “strumento-denaro” tramite il diritto, avendo come scopo il bene economico del Paese, che non è dato dalla quantità di denaro in circolazione, ma dalla disponibilità di beni e servizi.
Se lo Stato spende di più, consente di aumentare la disponibilità di beni e servizi. Sapendo che il denaro sono solo pezzi di carta o numeri sui computer, per quale motivo uno Stato non dovrebbe farlo? Anzi, è sbagliato che uno Stato non lo faccia.
Il denaro speso dallo Stato, peraltro, non scompare, ma diventa stipendi di lavoratori, i quali a loro volta lo spendono. Mentre il nuovo denaro circola, favorisce l’aumento di produzione di beni e servizi da parte di cittadini e imprese (soggetti privati), con beneficio di tutti.
Ovviamente questo non succede se la capacità lavorativa è satura, ad esempio come avviene in Giappone, in Svizzera, con disoccupazione all’1-2%. In questi casi un eccesso di spesa porterebbe ad un aumento dei prezzi. Ma questo non è il caso dell’Italia, che ha milioni di disoccupati, di sotto-occupati e di poveri, che potrebbero certamente lavorare e produrre, se venissero pagati per farlo.
In conclusione il deficit pubblico non c’entra nulla con il (cattivo) deficit privato di una famiglia o di una impresa.
Fare deficit è l’unico modo che lo Stato ha di mettere in circolazione la quantità necessaria di nuovo denaro per consentire il buon funzionamento dell’economia del Paese. Il deficit pubblico è il motore di una economia a guida pubblica.
Si può decidere di dare allo Stato un ruolo più limitato, riducendo la spesa (e il deficit) o un ruolo più importante, aumentando la spesa (e il deficit). Ma deve essere una scelta politica consapevole, non una decisione imposta in modo ingannevole da false dottrire economiche, prive di fondamento reale.
La moneta privata
In realtà oggi solo il 3% circa del denaro che utilizziamo sono banconote a corso legale. Il 97% è costituito da moneta scritturale elettronica, che non è emessa dalla BCE, ma dalle banche commerciali nel momento in cui fanno credito.
I trattati europei, impedendo agli Stati di fare più deficit (il famoso limite del 3%, numero inventato a caso dai consulenti economici di Mitterand) hanno voluto limitare il ruolo economico attivo dello Stato, obbligando i cittadini europei a rivolgersi al mercato del credito privato, favorendo le banche.
Il tutto fondato su un gigantesco inganno dell’opinione pubblica, che dovrebbe controllare le decisioni dei politici, che è stata convinta della (inesistente) necessità del pareggio di bilancio o di un deficit limitato al 3%.
Come diceva Margaret Thatcher “There is no alternative”. Ci presentano la decisione come l’unica possibile, ma questo è falso, perché la storia e il mondo sono pieni di governi che hanno compiuto scelte diverse in termini di bilancio, senza che ci fossero catastrofici risultati economici, anzi…
I casi citati della Repubblica di Weimar, dell’Argentina, aggiungo io dello Zimbabwe, sono casi di debito pubblico estero (non interno) fuori controllo, causati da problemi economici strutturali, per i quali il sistema produttivo interno non è in grado di fare fronte alla domanda, da cui l’iper-inflazione.
Il male dell’attuale sistema neoliberista, che impone agli Stati politiche di austerità in nome del dogma (economicamente infondato) del pareggio di bilancio, è che agli Stati manca il denaro per finanziare i servizi pubblici essenziali di base (sanità, scuola, sicurezza idrogeologica, risanamento ambientale, ricerca, ecc.), mentre è stato indotto un eccesso di spesa privata per cose inutili (consumismo) e ci viene imposta la disoccupazione forzata di persone che potrebbero benissimo lavorare e produrre cose utili per la società, ma che non lo possono fare per mancanza di “numeri sui computer” per pagarle. Una follia!
Ancora sul debito pubblico. Se uno Stato avesse la “macchina che stampa i soldi” non ci sarebbero problemi a rimborsare i titoli di Stato in scadenza, né a pagarne gli interessi, senza dover aumentare le tasse o tagliare la spesa pubblica.
A quel punto il debito pubblico, ovvero la somma di tutti i soldi versati dai risparmiatori per acquistare titoli ad interesse, cesserebbe di essere un problema e diventerebbe un servizio del tutto analogo al servizio privato di risparmio fornito dalle banche, dove un cittadino versa dei soldi, avendo il diritto di riprendersi il capitale più gli interessi.
Un servizio di risparmio pubblico, che garantisse un interesse del 3%, andrebbe in concorrenza con il servizio delle banche private, che dovrebbero giocoforza riconoscere anche loro il 3% ai risparmiatori.
Avendo messo fuori gioco lo Stato, a suon di trattati europei, ora le banche hanno campo libero nel peggiorare le condizioni offerte ai risparmiatori.
Storicamente vi è stato un solo Stato che decise e riuscì a pagare tutto il debito pubblico. Chi fosse interessato a saperne di più può leggere qui.
Fonte "Sovranità monetaria. Gionco risponde a Salvador"
Altre osservazioni sulla sovranità monetaria. Una questione di sussidiarietà
di Samuele Salvador, 25 ottobre 2024
Intervengo nuovamente a commento della risposta di Davide Gionco, avendo ancora una volta riscontrato affermazioni che ritengo errate ed avendo maturato un giudizio più completo sulla proposta della sovranità monetaria.
Mi pare Innanzitutto opportuno affrontare cinque concetti errati:
1. La stagnazione attuale ha causa monetaria.
Gionco si sbaglia quando definisce la deflazione come l’impoverimento della popolazione: è invece la riduzione generalizzata dei prezzi (dovuta a quantità insufficienti di moneta circolante se ha causa monetaria). La riduzione del reddito o del potere d’acquisto non possono essere considerate deflazione.
Negli scorsi quattro decenni quindi, al contrario di quanto sostenuto, non si è affatto verificata deflazione. Si sono sempre invece misurati tassi di inflazione positivi (si veda qui). Una eventuale riduzione dell’inflazione (rispetto ai tassi da rapina degli anni ’70 e ’80) non può essere chiamata deflazione. Se in un forno la temperatura passa da 200 a 50 gradi non inizieremo a chiamarlo frigorifero.
Ne consegue che è del tutto errato attribuire ad una mancanza di circolante la stagnazione economica che affligge il nostro Paese.
2. La BCE è un organismo privato.
Si insiste nel sostenere che la Banca Centrale Europea sia un soggetto privato e che non sia tenuto a rendere conto delle proprie decisioni.
Tuttavia, la sua costituzione e i limiti al suo operato sono stati stabiliti dal Trattato di Maastricht, redatto da rappresentanti politici eletti e da loro emendabile in ogni momento. I membri poi del Comitato esecutivo sono nominati dal Consiglio europeo e dunque vige un certo controllo politico.
Secondo quale definizione è privato? Per il fatto che i suoi dirigenti non sono eletti a suffragio universale? Con la medesima logica si deve allora sostenere che la Cassazione o l’ONU siano private, il che è palesemente assurdo.
3. Gli Stati ricoprono ruolo marginale nell’economia e sono impossibilitati a svolgere i propri compiti.
Si insiste a sostenere che progressivamente, a causa della privazione del controllo diretto sulle banche centrali, gli Stati sarebbero stati confinati in un angolo, costretti a svolgere un ruolo minimo, resi addirittura privi del denaro necessario a svolgere i propri compiti di base.
Non ripeterò i dati sulla pressione fiscale e sulla quota della spesa pubblica in rapporto al PIL, avendoli riportati nel precedente intervento. Mi limito a sottolineare come si tratti di affermazioni prive di adesione alla realtà: lo Stato italiano non ha poco denaro a disposizione e non controlla una frazione minoritaria del PIL.
4. Lo Stato è costretto a fare debito
Si insiste poi ad affermare che lo Stato, per ottenere il pareggio di bilancio, sia costretto (sottolineo: costretto) ad indebitarsi.
Già in precedenza avevo spiegato come la situazione di disavanzo sia causata primariamente dalla gestione non equilibrata delle spese e delle entrate fiscali. Un deficit si ripiana in tre modi: aumentando le entrate fiscali, riducendo la spesa, facendo ricorso al credito.
Affermare che l’unica soluzione sia indebitarsi e negare le altre possibilità è semplicemente errato. Affermare che il debito sia una costrizione è scorretto.
5. La spesa pubblica coincide con emissione di nuova moneta
Nel testo Gionco scrive più volte che per finanziare il debito pubblico viene stampata nuova moneta e che un aumento della spesa pubblica implica emissione di nuovo denaro nell’economia.
Ora, come avevo già esposto, questo è falso. I titoli di Stato vengono acquistati nelle cosiddette aste primarie da parte di soggetti privati (principalmente banche); questi ultimi per pagarli utilizzano il proprio denaro che fino a prova contraria non stampano in cantina. Si tratta di denaro già presente e circolante nell’economia all’atto dell’acquisto.
Per di più la BCE, che avrebbe facoltà di emettere denaro, è esplicitamente esclusa dalle aste primarie dai propri trattati costitutivi.
La liquidità ottenuta a seguito del ricorso al credito, nel caso degli Stati, non è moneta di nuova emissione ma frutto di ricavi d’impresa e risparmio.
Chiarimenti
Veniamo quindi ad un chiarimento circa le modalità con cui avviene attualmente l’emissione della moneta da parte delle banche centrali allo scopo di spiegare le questioni della riserva e della moneta “a debito” le quali risulteranno meno minacciose o irrazionali di quanto descritto da Gionco.
La moneta “a debito”
Le banche centrali moderne hanno il monopolio dell’emissione della moneta. L’emissione avviene in diversi modi: l’accredito sui conti che le banche posseggono presso di esse e l’acquisto di attività (per gli anglofoni asset).
Nel primo caso la Banca centrale, agendo come qualsiasi istituto di credito, riconosce un interesse sui conti che le banche detengono presso di essa ed ha la facoltà di concedere prestiti sui quali applica interessi. Di norma, tuttavia, il ricorso a questi prestiti da parte delle banche avviene in caso di incapacità a reperire liquidità sul mercato.
Le Banche centrali in questo senso sono prestatori di ultima istanza e vengono chiamate in causa solamente in situazioni di crisi di liquidità da parte delle banche. Questo tipo di emissione è dunque straordinaria e non avviene sistematicamente. Lo stesso ricorso da parte delle banche ne determina un certo discredito: il ricorso a questo finanziamento è riprova della fama di cattivo pagatore cui nessuno intende fare prestiti. La vicenda del credit crunch del 2008 è esemplificativa di queste dinamiche.
Il fatto che le banche centrali applichino un interesse è legato alla forma attuale del sistema bancario nel suo complesso (della cui liceità rimando la discussione ad altra sede) e non dunque alla natura della moneta e della sua emissione.
Il secondo metodo di emissione da parte delle banche centrali, di gran lunga più frequente, consiste nell’utilizzare il denaro fresco di stampa per comprare degli asset, dei beni. Si tratta sempre di acquisti, non di prestiti, e non implicano di per sé il godimento di un interesse.
Tra i beni acquistati in questo modo dalle banche centrali rientrano infatti ad esempio metalli preziosi, su tutti l’oro. L’oro, come è facile comprendere, non genera interesse.
Da cosa deriva dunque l’idea che l’emissione avvenga a debito? Dal fatto che la maggior parte di questi asset sia composta da obbligazioni (titoli di Stato e privati). Ma la ragione del loro impiego non risiede nel fatto che garantiscano un interesse, bensì che siano beni caratterizzati da disponibilità e facilità di liquidazione. Le banche centrali potrebbero benissimo acquistare al loro posto immobili o opere d’arte se non presentassero ovvi svantaggi logistici.
Le Banche centrali si recano quindi nei mercati finanziari “vendendo” liquidità a quanti la richiedono in cambio di obbligazioni o titoli di Stato. Per quanto riguarda questi ultimi, sono sempre acquistati nei cosiddetti mercati secondari e mai acquistati direttamente dagli Stati emittenti. E la differenza è cruciale.
Nel caso poi della BCE i profitti derivanti dagli interessi (sui prestiti e dei titoli), al netto dei costi di gestione, vengono ripartiti in modo proporzionale tra le Banche centrali dei Paesi membri. A sua volta la Banca d’Italia, trattenuta la quota corrispondente ai costi di gestione, trasferisce il restante al Tesoro. Si può quindi criticare il prestito a interesse ma non si può affermare che i ricavi ottenuti dalle banche centrali danneggino in assoluto gli Stati dato che questi partecipano ai guadagni.
Le riserve sono un anacronismo?
Correttamente Gionco afferma che, con il venir meno del gold standard, la riserva delle banche centrali non è di per sé necessaria a garantire la validità della moneta, la quale è sostenuta dalla fiducia che quel denaro potrà comprare in futuro beni o servizi.
Il permanere delle “riserve” al giorno d’oggi non ha infatti lo scopo di garanzia. Non è però neppure una vuota tradizione locale: semplicemente non è altro che il frutto del libero scambio tra i beni dei privati (oro, titoli di credito ecc.) con la liquidità emessa dalle Banche centrali. Queste quindi si ritrovano a possedere i detti beni che costituiscono le attività dei bilanci.
Un inciso: citare la frode contabile nazista come esempio di emissione di denaro senza corrispettive riserve mi pare improprio. La Banca centrale tedesca agiva esattamente come quelle attuali, emettendo moneta in cambio delle obbligazioni MeFo.
Queste obbligazioni costituivano la riserva. Oggi avviene la stessa cosa, con la differenza che lo Stato non possiede aziende fantasma che emettono obbligazioni per non far comparire il finanziamento nei bilanci pubblici (ossia quel che faceva il Reich con i MeFo allo scopo di eludere il divieto di riarmo, si veda qui). Tuttalpiù si può sostenere che le politiche di acquisto dei titoli in assenza di corrispettiva riserva aurea (e se ciò sia avvenuto lo ignoro) abbiano precorse i tempi.
Non costituisce tuttavia una eccezione essendo oramai l’emissione di ogni moneta slegata dal possesso di riserve di oro fisico. In ogni caso non mi pare un modello da imitare.
Il nodo della sussidiarietà
L’attività della Banca centrale dunque non consiste, come traspare erroneamente negli interventi di Gionco, nel prestare denaro agli Stati, bensì a fornire liquidità ai soggetti privati (sottolineo privati) che ne hanno bisogno e ne fanno richiesta sul mercato.
Qui, ancor più della sottovalutazione dell’inflazione, sta il nodo cruciale della sovranità monetaria così come è concepita dalla Teoria Monetaria Moderna (MMT): attualmente la liquidità viene immessa sul mercato in cambio di attività (una libera compravendita) e giunge in mano ai privati che la destinano come vogliono.
Nella proposta della MMT è lo Stato, unicamente lo Stato, a decidere come spendere la nuova liquidità (quali beni acquistare, quali settori finanziare). Il che appare del tutto incompatibile con il principio di sussidiarietà.
Invocando la sovranità si auspica, non del tutto paradossalmente, il monopolio statale della destinazione della moneta di nuova emissione. Monopolio nelle mani dello Stato centrale e non certo condiviso con le realtà locali (ogni trasferimento sarebbe pur sempre una concessione, un arbitrio). Di nuovo: risulta in contrasto con il principio di sussidiarietà.
In questo senso risulta problematico anche quello che potremmo definire il nucleo centrale della MMT, espresso da Gionco nel suo intervento in questi termini: «fare deficit è l’unico modo che lo Stato ha di mettere in circolazione la quantità necessaria di nuovo denaro per consentire il buon funzionamento dell’economia del Paese. Il deficit pubblico è il motore di una economia a guida pubblica».
Sperando di aver sin qui dimostrato come l’emissione di moneta sia slegata dalla condizione di disavanzo dei bilanci dei Paesi, faccio notare come auspicare la guida statale dell’economia risulti in antitesi con i principi della Dottrina Sociale della Chiesa.
L’autorità politica ha il dovere di garantire e favorire le attività economiche secondo i criteri di giustizia ma compirebbe una indebita intromissione se si sostituisse ai soggetti privati.
Il fatto che forme di statalismo economico abbiano pervaso nell’ultimo secolo i regimi liberal-democratici tanto quanto quelli social-comunisti, seppur in forma diversa, non rende giusto quel che è iniquo.
E la MMT si inserisce in questo solco. Tant’è vero che in diverse forme viene portata avanti da esponenti liberal di spicco del Partito Democratico americano come pure da una pletora di politici social-comunisti sudamericani.
Per concludere
In definitiva, lungi dal sostenere lo stato delle cose esistenti in ambito economico e lungi dal ritenere conclusa l’analisi e la valutazione di ciò che lo compone, mi limito a considerare deleteria la sovranità monetaria (per come esposta) ed errata la Teoria Monetaria Moderna; dal punto di vista morale prima che economico.
Stabilito tutto questo, rispondo alle domande poste da Gionco.
Chi deve avere il diritto di creare il denaro? L’autorità politica ossia una istituzione pubblica che risponde alla legge, non necessariamente il governante.
Chi deve avere il diritto di spendere per primo il nuovo denaro creato, traendone beneficio economico? Dovendo scegliere tra lo Stato e l’iniziativa privata, scelgo la seconda. Abbracciando pienamente il principio di sussidiarietà.
Fonte "Altre osservazioni sulla sovranità monetaria. Una questione di sussidiarietà"
2025-01-29
Autore : Davide Gionco e Samuele Salvador
Fonte : Osservatorio Card. Văn Thuận