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I papi rinascimentali
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I papi rinascimentali, dal buon Niccolò V al caso Alessandro VI

 
Quello della rivolta protestante è un capitolo estremamente doloroso della storia della Chiesa, che ha introdotto nella cristianità latina del XVI secolo una lacerazione profonda e tuttora non sanata.  
 
Sulle cause di questa rottura si sono scritti volumi su volumi, che illuminano ora un fattore più politico, ora uno più teologico, senza trascurare i tratti psicologici delle persone coinvolte; la fedeltà ai fatti impone che non si trascuri alcuno di essi per motivi ideologici, ma nello stesso tempo lascia onestamente la porta aperta all'imponderabile, che si trova nel profondo del cuore dell'uomo e nell'azione subdola del Tentatore.  
 
Uscito da quarant'anni di opposizione tra papi e antipapi, con le loro rispettive obbedienze, il papato, con la sua vocazione a centro di unità della Chiesa, aveva subito un colpo micidiale.  
 
Ritrovata l'unione con Martino V (1369-1431), la Chiesa entrava nell'epoca rinascimentale con un pontefice, Niccolò V (1397-1455), che seppe unire una profonda pietà religiosa ad una cultura e un'azione di squisito umanesimo.  
 
I papi rinascimentali si ritrovarono in un contesto particolare: da un lato, anche proprio a motivo della loro personale formazione umanistica, avvertirono la necessità di mettere la Chiesa in osmosi con la cultura rinascimentale, diventando mecenati di straordinarie opere letterarie e artistiche; dall'altro, alcuni papi rinascimentali si ritrovarono non di rado contagiati dal peggio di quel clima culturale e morale, e riportarono l'autorità universale del papato in una nuova crisi.  
 
L'umanesimo cristiano sembrava gradualmente cedere il terreno ad un umanesimo che del cristianesimo e dei principi fondamentali della cristianità non sapeva più cosa farsene. E non pochi uomini di Chiesa finirono in questo decadimento scristianizzante.  
 
Il primo caso piuttosto eclatante fu quello che vide coinvolto papa Sisto IV (1414-1484) nella nota Congiura dei Pazzi, che portò all'assassinio di Giuliano de' Medici e al ferimento di Lorenzo il Magnifico.  
 
Il Papa era al corrente della congiura architettata da Francesco Salviati (1443-1478), da lui nominato arcivescovo di Pisa, ma pare si sia limitato ad esortare a non far scorrere del sangue, se possibile... La cosa venne risaputa e il papato subì un primo scossone nella sua credibilità di essere il padre di tutti i cattolici e super partes nelle contese più strettamente politiche.  
 
Dopo la brevissima parentesi del pontificato di Innocenzo VIII (1432-1492), fu la volta di Rodrigo Borgia (1431-1503), eletto l'11 agosto 1492, con il nome di Alessandro VI.  
 
Che questo ecclesiastico, creato cardinale dallo zio, Callisto III (1378-1458), sia stato eletto papa, è il segno di quanto anche il collegio cardinalizio e, più in generale, gli ecclesiastici avessero perso il senso della missione di Pietro nella Chiesa.  
 
Molti storici hanno “riabilitato” papa Borgia, mettendone in luce l'ortodossia, la capacità di sistemare le finanze della Chiesa, la sua importante azione per l'evangelizzazione del Nuovo Mondo.  
 
Giustissima riabilitazione. D'altra parte, però, Rodrigo Borgia era arcinoto per la sua vita lussuriosa, per la sua avidità nell'accumulare cariche ecclesiastiche – oltre ad essere vicecancelliere della Chiesa romana, si era prodigato per ottenere la reggenza di ben cinque diocesi e divenire abate commendatario di Santa Maria di Maniace –, e per la sua smania di diventare papa ad ogni costo.  
 
Le sue trame non andarono a buon fine al conclave che seguì la morte di Sisto IV, mentre invece ebbero successo in quello successivo alla morte di Innocenzo VIII, allorché l'11 agosto 1492, dopo articolate trattative simoniache, ottenne quel che smodatamente bramava.  
 
Nella ricostruzione di E. R. Chamberlin, Ascesa e tramonto dei Borgia (2016), sembra che il nuovo eletto, evidentemente tutt'altro che consapevole del significato del ministero ricevuto, non facesse altro che ostentare la sua nomina, ripetendo in continuazione: “Io sono il papa!”.  
 
Pur depurando la memoria di Alessandro VI da numerose infelici leggende che lo riguarderebbero (come il rapporto incestuoso con la figlia, Lucrezia), esito di una sistematica campagna denigratoria del papato, cavalcata prima dai protestanti e poi dagli illuministi, e pur riconoscendo i suoi meriti nel difendere il papato e la Chiesa dai numerosi tiranni che l'avrebbero voluta fagocitare e mettere al proprio servizio, rimane il fatto che Alessandro VI governò con i criteri di un qualsiasi sovrano temporale corrotto, utilizzando, quali mezzi del proprio governo, la simonia, la crudeltà e un estremo cinismo.  
 
Per non parlare del fatto che, già papa e ormai sessantenne, non trovò di meglio che porre al suo fianco la nemmeno ventenne Giulia Farnese.  
 
Niccolò Machiavelli, che quanto a cinismo politico si imponeva come voce “autorevole”, tre anni dopo la morte di Alessandro VI, gli dedicò questo gentile epitaffio: «malò Valenza e, per aver riposo, portato fu fra l’anime beate lo spirto di Alessandro glorioso; de qual seguirno le sante pedate tre sue familiari e care ancelle Lussuria, Simonia e Crudeltate».  
 
Quale sia la sorte eterna di papa Borgia non spetta ad alcun uomo stabilirlo. A noi basta notare che Alessandro VI fu erede e padre di un modo di intendere ed esercitare il papato che non poteva non preannunciare imminenti disastri.  
 
Il terreno dell'avversione al papato veniva sempre più concimato da queste condotte, e il successore dell'Apostolo Pietro era sempre meno riconosciuto come il grande dono di Cristo all'unità e all'integrità della sua Chiesa.  
 
Fonte "I papi rinascimentali, dal buon Niccolò V al caso Alessandro VI"  
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I papi rinascimentali, dal “guerriero” Giulio II a Leone X

 
Non tutti i papi rinascimentali furono dei viveurs. Terminato il pontificato di Alessandro VI, che regnò per undici anni, i cardinali elettori compresero che la Chiesa non poteva permettersi di proseguire con un pontefice altamente vizioso.  
 
Fu il cardinale Giuliano della Rovere (1443-1513), oppositore per eccellenza dei Borgia, e per questo finito in esilio per quasi tutta la durata del pontificato di Alessandro VI, a giocare un ruolo decisivo nel conclave che portò all'elezione di Francesco Nanni Todeschini Piccolomini (1439-1502), nipote del più noto Pio II, che prese il nome dello zio. Ma il suo pontificato non durò neppure un mese. I cardinali designarono quindi direttamente Giuliano, artefice della sconfitta dei Borgia, che prese il nome di Giulio II.  
 
Certamente inattaccabile dal punto di vista della sua vita morale, Giulio II aveva però il “vizio” della politica, con evidenti accenti bellici, tanto da passare alla storia come il “papa guerriero”.  
 
Il suo intento fu quello di restaurare il potere dello Stato pontificio nelle città di Bologna e Perugia, dove le signorie locali di fatto facevano ormai il bello e il cattivo tempo. E lo fece ovviamente manu militari.  
 
Poi architettò la famosa Lega di Cambrai, per far sloggiare i Veneziani da Rimini e Faenza, e la Lega Santa, per liberare l'Italia dalla presenza francese. La Battaglia di Ravenna si svolse nientemeno che nel giorno di Pasqua (11 aprile) del 1512 e fu una carneficina, perché per la prima volta vennero usati pezzi d'artiglieria. Decisamente un po' troppo per un pontefice, che deve pur sempre avere come priorità l'unità della Chiesa e dei cristiani.  
 
Giulio II inaugurò anche un mecenatismo di alto livello, radunando attorno alla Sede apostolica artisti e architetti di immarcescibile memoria. Ma l'attrazione dell'arte divenne quasi un'idolatria nel successore, papa Leone X (1475-1521).  
 
Giovanni di Lorenzo de' Medici fu eletto il 9 marzo 1513, raccogliendo attorno alla propria persona il desiderio dei cardinali di avere un papa meno belligerante e più incline a pacificare la Chiesa. In effetti, Leone X desiderava questa rappacificazione degli animi, nella consapevolezza che la fioritura delle arti è pressoché impossibile in un contesto di guerra.  
 
È fuori discussione la cura che egli ebbe nel rendere Roma un gioiello, ma questa opera mise a dura prova le finanze romane; si registrò perciò un pressante zelo nel richiedere molto denaro ai cattolici del continente europeo, i quali però, nel frattempo, potevano constatare il declino della Chiesa nelle proprie contrade, con una evidente trascuratezza della formazione del clero e della santificazione dei fedeli.  
 
Il nepotismo si era diffuso un po' dappertutto e, sebbene non sempre nomine ispirate a questo criterio risultarono infelici, non era raro vedere vescovi e arcivescovi ben poco preoccupati per la salvezza delle anime e senza una particolare pietà, così come “cardinali prodigio”, che ricevevano la berretta rossa quando erano ancora adolescenti e senza alcun interesse per il bene della Chiesa.  
 
Il regime della commenda si diffuse a dismisura: laici divenivano titolari di vescovadi, dai quali semplicemente traevano benefici e titoli onorifici, spesso senza nemmeno ricevere poi gli ordini sacri e senza darsi alcuna pena pastorale.  
 
Complessivamente, i pastori della Chiesa comunicavano l'idea di una Chiesa assai interessata all'arte, estremamente attiva negli affari politici, particolarmente attenta a distribuire e accumulare privilegi e rendite, ma poco attenta alla sua missione più prettamente spirituale.  
 
Nessuna leggenda nera dei papi rinascimentali, ma la consapevolezza storica di quanto, nelle loro condotte, avessero «forgiato e rafforzato la convinzione che il Romano pontefice fosse più preoccupato degli affari temporali che di quelli spirituali, il che comportò indifferenza nei confronti del papato.  
 
Mentre nei secoli precedenti la Chiesa creava le università, ora governatori secolari fondavano istituti di istruzione superiore come entità separate dalla Chiesa. I re divennero più indipendenti dalla Chiesa mentre nel contempo cercavano di renderla un apparato del loro governo» (Steve Weidenkopf, Light from Darkness, 2021, p.159).  
 
Vi fu una tragica inversione: mentre nel Medioevo era la Chiesa a cercare di animare e ispirare la vita culturale e politica, durante il Rinascimento furono una cultura e dei criteri politici non cristiani ad entrare nella Chiesa e a stendere i loro tentacoli sulla sua vita e le sue istituzioni.  
 
Non solo i papi, ma in generale i pastori, erano andati gradualmente smarrendo la propria autonomia e superiorità spirituale, finendo per adagiarsi eccessivamente su un piano mondano. Di conseguenza il potere secolare si pose in una situazione di sostanziale contesa con i vescovi e con il papa, che percepivano come dei concorrenti.  
 
Talvolta questa concorrenza condusse allo scontro, ma più frequentemente il potere secolare cercò di occupare gli spazi propri della Chiesa e renderla instrumentum regni. Quello che accadrà da lì a poco in Inghilterra fu purtroppo il frutto velenoso della maturazione di questa tendenza. I vescovi venivano percepiti con un acuto senso di estraneità da parte dei fedeli, quando non con grande irritazione.  
 
Un cuneo si era di fatto inserito tra la gerarchia e il popolo, una diffidenza che non di rado si andava trasformando in repulsione. In un contesto simile, una piccola fiamma fuori controllo avrebbe potuto provocare un grande incendio.  
 
Fonte "I papi rinascimentali, dal “guerriero” Giulio II a Leone X"  
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2024-11-03
Autore : Luisella Scrosati Fonte : La Nuova Bussola Quotidiana
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