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Nel precedente articolo si è cercato di mostrare come diversi Padri latini, accettati universalmente come Dottori di sicura dottrina, abbiano sostenuto che il Figlio entra pienamente nella processione dello Spirito Santo dal Padre.
Questa causalità del Figlio è stata particolarmente affrontata e precisata da sant'Agostino: il Figlio ha ricevuto dal Padre di essere con Lui principio della processione dello Spirito Santo.
Ma nella lista dei maestri della fede, il cui insegnamento i padri del Secondo Concilio di Costantinopoli (553) si sono impegnati ad accogliere, troviamo anche i tre Padri cappadoci, particolarmente cari ai Greci: Basilio di Cesarea, detto “il Grande”, Gregorio di Nissa, fratello di Basilio e soprannominato “colonna dell'ortodossia” e Gregorio Nazianzeno, detto “il Teologo”.
Vediamo di riassumere la posizione di ciascuno in relazione ala rapporto tra lo Spirito Santo e il Figlio.
Il problema teologico che san Basilio si trovò ad affrontare fu quello dell'affermazione della divinità dello Spirito Santo contro gli pneumatomachi, affermazione che richiedeva nel contempo di distinguere quest'ultimo dal Figlio, individuando in tal modo la peculiarità di ciascuna Persona. Basilio si riferisce alla terza Persona come allo Spirito che procede dal Padre, dando una connotazione teologica al termine “procedere” che si ritrova in Gv 15, 26, senza però determinare in cosa consista questa processione.
Ad assumere particolare interesse è il passaggio della Lettera 38, 4, nella quale Basilio sottolinea che il Figlio ha dichiarato che lo Spirito «procede dal Padre tramite Lui e con Lui, splendendo da solo e dall'Unigenito dalla luce ingenerata». Nella prospettiva di Basilio, emerge la volontà di indicare la perfetta unione del Padre e del Figlio, per cui quest'ultimo non può non essere “presente” con il Padre nella spirazione.
Non v'è dubbio che non si tratti di una dichiarazione esplicitamente filioquista e sarebbe anacronistico pensarlo; tuttavia, l'affermazione della processione dello Spirito attraverso il Figlio è notevole perché il concilio delle Blachernae del 1285, riunito dai Greci per condannare il patriarca Giovanni XI Bekkos, che sostenne la legittimità del Filioque latino e la sua compatibilità con i Padri greci, riprovò chiunque insegnasse che lo Spirito procede dal Padre attraverso il Figlio.
San Gregorio di Nissa, sempre nel contesto della confutazione degli pneumatomachi, ha ripreso la riflessione del fratello, sottolineando non solo l'unione del Padre e del Figlio, ma anche quella di quest'ultimo con lo Spirito Santo, tant'è che lo Spirito è sempre caratterizzato dall'essere Spirito del Figlio.
Resta però sempre il problema di distinguere il Figlio dallo Spirito e questa distinzione non può che avvenire sul piano delle relazioni tra le Persone in rapporto alla causalità eterna, ossia della differenza tra l'ipostasi che causa e quella che è causata eternamente.
Non v'è dubbio che l'ipostasi causante sia il Padre e che il Figlio e lo Spirito siano causati dal Padre, ma tra esse c'è una differenza importante, messa in luce da Gregorio: il Figlio, nel rapporto di generazione, è causato immediatamente dal Padre, mentre lo Spirito, nella processione, è causato mediatamente dal Padre, ossia dal Padre mediante il Figlio.
Gregorio mette così in rilievo che il ruolo di mediatore del Verbo incarnato si radica in una originaria mediazione intratrinitaria, confermando ancora una volta quella coerenza tra la Trinità immanente ed economica, descritta nell'articolo della scorsa domenica.
È chiaro che nemmeno il Nisseno esplicita la dottrina del Filioque, ossia il ruolo causale del Figlio nella spirazione; e tuttavia, anche in questo caso, la causalità del Figlio non è affatto esclusa, ma compresa come “mediazione”, salvaguardando il Padre come causa prima.
San Gregorio Nazianzeno può essere considerato come il Dottore dello Spirito Santo, per la maggiore penetrazione ed esposizione del mistero della terza Persona, non senza una certa polemica con l'amico Basilio, al quale egli rimproverava una non sufficiente chiarezza e decisione nell'affermazione della divinità dello Spirito Santo nella polemica con gli pneumatomachi.
Nel precisare la peculiarità della terza Persona, egli sottolinea la sua distinzione dal Figlio perché proviene dal Padre per modo di processione e non per via di generazione, di modo che l'affermazione della divinità dello Spirito non comprometta affatto la sua distinzione dal Figlio.
Una delle obiezioni contro la divinità dello Spirito era infatti questa: se lo Spirito Santo fosse Dio, sarebbe impossibile distinguerlo dal Figlio, perché entrambi verrebbero generati dal Padre. Ma che cosa sia questa processione non è chiaro, se non come contrapposizione alla generazione (del Figlio).
In sintesi, la posizione dei Padri cappadoci non contiene espressioni esplicite come quelle incontrate nei Padri latini. E tuttavia, nemmeno si incontrano affermazioni che intendano affermare la processione dello Spirito dal solo Padre, con esclusione dunque esplicita della causalità del Figlio.
In sostanza, come sarebbe arduo sostenere una posizione propriamente filioquista nei Padri cappadoci, sarebbe altrettanto difficile sostenere un’incompatibilità tra la loro posizione e la dottrina del Filioque, dal momento che quest'ultima non afferma che il Padre e il Figlio siano causa dello Spirito allo stesso modo, ma il Padre è causa incausata, mentre il Figlio causa causata (per la generazione dal Padre).
La posizione di Gregorio di Nissa, che richiama una necessaria mediazione del Figlio nella processione dello Spirito per marcare la distinzione tra la seconda e la terza Persona, appare come quella meglio predisposta ad una interpretazione filioquista e difficilmente compatibile con la posizione di Gregorio di Cipro, grande oppositore del Filioque e dell'unione all'epoca del Secondo Concilio di Lione (1274).
Abbiamo posto le basi fondamentali per comprendere le basi della dottrina della processione dello Spirito Santo dal Padre e dal Figlio, mediante le Sacre Scritture e i Padri latini e greci. Ora ci resta da capire che cosa è accaduto storicamente, fino a giungere alla disputa all'interno del Concilio di Ferrara-Firenze.
Fonte "Il Filioque nei Padri orientali"
La questione del Filioque nel primo millennio
La strada che ha condotto al confronto tra Greci e Latini al Concilio di Ferrara-Firenze è stata lunga e accidentata, ma c'è un dato inequivocabile: prima di arrivare al 1438, sia la dottrina legata al Filioque (sulla base della spiegazione che ne davano i Padri) che la sua inserzione nel canto liturgico del Simbolo erano una realtà per buona parte della Chiesa latina, senza che questo avesse mai provocato rotture con la Chiesa greca. Almeno fino alla polemica foziana.
Ma anche con l'avvento di Fozio alla sede del patriarcato di Costantinopoli, bisogna notare che il patriarca bizantino, che aveva soppiantato Ignazio nella sede patriarcale, inviò a papa Nicolò I, con lo scopo di ingraziarselo, una lettera piena di deferenza e rispetto, nella quale non fece il benché minimo accenno a quella che da lì a poco, dopo che il Papa riconobbe la legittimità di Ignazio e dunque l'illegittimità di Fozio, sarebbe divenuta la somma di tutte le eresie della Chiesa latina, con la quale pertanto non si poteva e non si doveva avere più alcuna comunione.
Johannes Grohe, professore di Storia della Chiesa alla Pontificia Università della Santa Croce, aveva riportato alla luce una preziosissima testimonianza della processione dello Spirito Santo anche dal Figlio negli Atti del Sinodo di Ctesifonte del 410 [vedi Il Filioque. A mille anni dal suo inserimento nel Credo a Roma (1014-2014), pp. 15-36].
Cessata, seppure per poco tempo, la persecuzione a danno dei cristiani nel Regno di Persia, i vescovi poterono finalmente convocare un concilio per recepire le indicazioni di Nicea e sistemare la liturgia.
Nella ripresentazione del Simbolo niceno si notano alcune “varianti”, tra cui proprio quella relativa alla processione dello Spirito Santo: «professiamo il vivo e Santo Spirito, il Paraclito vivente del Padre e del Figlio».
Il sospetto che si tratti di un testo manipolato è stata esclusa dagli storici. La notevole importanza di questo testo sta anzitutto nella sua antichità, che lo rende la prima testimonianza scritta di una formula filioquista nel Simbolo. E questo primato appartiene ad una Chiesa orientale!
Giustamente il prof. Grohe ha fatto notare che con ogni probabilità questo testo non era conosciuto nella Chiesa antica, latina e greca, non solo per la quasi continua situazione di persecuzione della Chiesa persiana, ma anche perché, con il rifiuto del Concilio di Efeso (431), quest'ultima si isolò dalle altre Chiese.
Ma resta il fatto che, all'inizio del V secolo, ossia all'epoca dei grandi Padri, abbiamo già la presenza, nel Simbolo, del Figlio per la processione dello Spirito.
Se spostiamo la nostra attenzione alle Chiese d'Occidente, troviamo che il centro propulsore filioquista fu la Spagna. L'importante Concilio di Toledo del 589, che sanciva il passaggio dei Visigoti dall'arianesimo al cattolicesimo, professava la processione dello Spirito dal Padre e dal Figlio, sebbene si debba attendere il 653, anno dell'ottavo Concilio di Toledo, per trovare la formula filioquista nel Simbolo della Messa (ex Patre et Filio procedentem).
È importante tenere presente il contesto antiariano di queste formulazioni, perché indica la particolare attenzione dedicata proprio al dogma trinitario.
I testi dei concili voluti dal re Recaredo vennero raccolti nella Collectio Hispanica, collezione che permise il “passaggio” al Regno dei Franchi. Grazie allo zelo del patriarca di Aquileia, Paolino, vennero prese una serie di misure per arginare l'eresia adozionista, dunque, di nuovo, un'eresia che colpiva al cuore il dogma trinitario e quello cristologico.
Nel sinodo di Cividale del Friuli (796/797), proprio per difendere la fede, si decise di precisare la formula del Simbolo di Nicea; è degno di nota che Paolino fosse assolutamente consapevole del fatto che si stavano aggiungendo delle parti al Simbolo, ma respinse l'accusa di arbitraria innovazione rifacendosi all'esempio dei padri di Costantinopoli, i quali apportarono numerose modifiche al Simbolo di Nicea; «e tuttavia – spiegava Paolino – non sono da incolpare questi santi Padri [di Costantinopoli] come se avessero aggiunto o tolto qualcosa dalla professione di fede dei trecentodiciotto Padri [di Nicea], perché non diedero un senso diverso, contrario al pensiero di quelli, ma si preoccuparono di completare correttamente la loro immacolata interpretazione» (Opere I/1, 2007, p. 163, in Il Filioque, cit. p. 30).
Un completamento si era reso necessario proprio in funzione antiadozionista nel Regno carolingio, sul finire dell'VIII secolo, e l'inserzione del Filioque rispondeva proprio a questa necessità: la processione dello Spirito dal Padre e dal Figlio fungeva, infatti, da “rinforzo” della verità che il Padre è nel Figlio e il Figlio nel Padre sostanzialmente, per cui lo Spirito non poteva procedere dall'uno senza procedere anche dall'altro.
Fonte "La questione del Filioque nel primo millennio"
Il chiarimento sul Filioque al Concilio di Lione II
Prima di giungere a parlare dell'importante disputa sul Filioque durante il Concilio di Ferrara-Firenze, è d'obbligo dedicare un articolo al Secondo Concilio di Lione (7 maggio-17 luglio 1274), quattordicesimo concilio ecumenico della Chiesa cattolica.
Voluto da Gregorio X (ca 1210-1276) per affrontare il problema della presenza saracena in Terra Santa e per giungere ad un’unione con i Greci (oltre che prendere alcune decisioni per riformare la Chiesa), il Concilio vide la partecipazione di grandi pastori e teologi, come il cardinale Pierre de Tarentaise (1224/5-1276), successore di Gregorio sul Soglio pontificio con il nome di Innocenzo V; Bonaventura da Bagnoregio (che morirà durante il concilio), Alberto Magno, Guglielmo Durando, Filippo Benizi.
Anche Tommaso d'Aquino fu convocato dal Papa per intervenire al Concilio, ma morì il 7 marzo 1274, durante il viaggio, nell'abbazia di Fossanova, per cause ancora non chiarite, lasciando tra l'altro un piccolo gioiello teologico, il Contra errores Græcorum (1263), nel quale Tommaso cercava, dieci anni prima del Concilio lionese, di chiarire la posizione cattolica di fronte alle incomprensioni dei teologi greci.
La nuova assise, nella sua quarta sessione, ricevette la Professione di fede dell'imperatore Michele VIII Paleologo (1223-1282), che era in sostanza quella che papa Clemente IV (+1268) aveva sottoposto all'imperatore come condizione indispensabile per la riunificazione dei Greci. In essa si confessano la processione «dal Padre e dal Figlio» e il primato effettivo, e non solo d'onore, della Sede petrina.
A costituire però un vero progresso nella comprensione ed espressione della processione dello Spirito è la Constitutio de summa Trinitate del 18 maggio 1274 (cf. Denz. 850). Questo testo appartiene alla seconda sessione del Concilio ed è perciò antecedente la Professio fidei appena menzionata; la quale però, come accennato, non è altro che la riproposizione di un testo anteriore del 1267, scritto da Clemente IV.
Dunque, di fatto, la Constitutio si pone come una reale e preziosa precisazione interpretativa della verità dogmatica del Filioque, che costituisce il criterio ermeneutico per la comprensione dell'espressione “piana” ex Patre Filioque procedit.
Vediamolo: «Con fedele e devota professione, confessiamo che lo Spirito Santo procede eternamente dal Padre e dal Figlio non come da due principi, ma come da uno solo; non per due spirazioni, ma per una sola».
E poco oltre si condannano gli errori contro questa processione, errori che provengono da “due sponde” opposte. Da un lato viene riprovata la posizione di coloro che «osano negare che lo Spirito Santo procede eternamente dal Padre e dal Figlio»; dall'altro si respinge l'affermazione che «lo Spirito Santo procede dal Padre e dal Figlio, come da due principi e non come da uno solo».
Questa processione dal Padre e dal Figlio come da un unico principio costituisce, secondo il Concilio, «l'immutabile e vera dottrina dei padri e dottori ortodossi, sia latini che greci» (sulla dottrina dei Padri, vedi qui e qui).
Con questo testo chiarificatore si intendeva offrire agli interlocutori greci una visione più equilibrata della dottrina del Filioque, condannando non solo la negazione della processione dal Figlio, che si era diffusa in ambito greco, ma anche respingendo una spiegazione altrettanto eterodossa e inconciliabile con gli scritti dei Padri di tale processione, tipica invece del mondo latino, la quale, pensando a due spirazioni, una del Padre e l'altra del Figlio, introduceva un nuovo principio della vita trinitaria, diverso dal Padre.
C'era però un problema: questa pur corretta formulazione era stata decisa prima dell'arrivo dei rappresentanti dei Greci, i quali si erano in sostanza limitati a recepire il testo, impedendo così un necessario serio dibattito, con la conseguente possibilità di apportare chiarimenti circa le reciproche posizioni su un tema tanto spinoso.
Il 29 giugno, appena cinque giorni dopo l'arrivo della parte greca, durante la Messa presieduta da papa Gregorio, i Greci presenti, Germano III di Costantinopoli (+1289), Teofane, vescovo di Nicea, e Giorgio Acropolita (1217/20-1282), cantarono per tre volte durante il Credo, nella propria lingua, l'espressione della processione dello Spirito dal Padre e dal Figlio.
L'unione sembrava compiuta e il Papa, il 6 luglio, fece sedere alla propria destra, nel consesso dei Cardinali, i vescovi greci. I problemi però vennero a galla allorché le decisioni di Lione vennero comunicate a Costantinopoli e in tutte le province della Chiesa greca, riscontrando forti resistenze all'unione particolarmente nei monasteri, che esercitavano un’enorme influenza sul popolo.
Da parte di Roma, ancora sotto il pontificato di Gregorio X, si pose grande attenzione a non alterare in nulla le tradizioni liturgiche greche e a lasciare grande autonomia di governo ai patriarchi, curando di evitare quelle che subito potevano essere intese come “ingerenze” dei latini.
Innocenzo V optò invece per una politica più stringente; se, comprensibilmente, volle che tutto il clero greco sottoscrivesse la formula di fede di Lione, toccò invece un nervo scoperto e ancora troppo sensibile nell'esigere che i Greci aggiungessero il Filioque al Simbolo.
Il pontefice morì dopo solo cinque mesi di pontificato; il successore, Adriano V (ca 1205-1276), dopo appena 38 giorni. Finalmente fu eletto Giovanni XXI (ca 1210-1277), che proseguì la linea di Innocenzo.
Nel 1277, un sinodo venne convocato nell'omonimo Palazzo del quartiere Blacherne di Costantinopoli, con lo scopo di sancire la ritrovata unità, già celebrata a Lione, alla presenza e con l'assenso di Giovanni XI Bekkos (ca 1225-1297), patriarca di Costantinopoli.
Fu proprio Bekkos a tener testa alle reiterate ondate antiunioniste che si sollevavano di frequente. La nuova rottura ufficiale avvenne però per ragioni di sapore politico, in particolare per le tensioni tra il Papa, che favoriva la politica angioina, e l'imperatore Michele; ragioni che esulano lo scopo dei nostri articoli, ma che occorre tenere presenti per capire come le argomentazioni teologiche si fecero più rigide, quasi un muro contro muro, per effetto di posizioni di altra natura.
Sta di fatto che la consumazione di una nuova rottura avvenne con la convocazione, questa volta da parte degli antiunionisti, di un nuovo sinodo a Blacherne (1285), nel quale prevalse la linea “fondamentalista”, che rifiutò persino l'espressione della processione eterna dello Spirito dal Padre mediante il Figlio, colpendo con anatema chiunque sostenesse in qualsiasi modo la processione dal Figlio.
Si venivano così a delineare tre posizioni sulla questione: quella latina, espressa al Concilio di Lione, e accolta da una parte dei Greci; la posizione greca “intransigente”, che negava qualsiasi intervento del Figlio nella processione dello Spirito nella Trinità immanente, e relegandolo solo nell'ambito della Trinità economica (per questa distinzione, vedi qui); la posizione greca “energetica”, sostenuta in particolare da Gregorio Ciprio (1241-1290), patriarca di Costantinopoli dal 1283 e antiunionista, che ebbe un folto seguito.
Quest'ultima posizione cercava di correggere il sinodo di Blacherne del 1285, dal momento che nei Padri si trovavano espressioni esplicite della mediazione del Figlio nella processione.
È questa sostanzialmente la situazione che porterà all'importante dibattito durante il Concilio di Ferrara-Firenze.
Fonte "Il chiarimento sul Filioque al Concilio di Lione II"
Fine della seconda parte. Continua.
2024-11-16
Autore : Luisella Scrosati
Fonte : La Nuova Bussola Quotidiana